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Siccità: cambiamento climatico e di comportamenti

Gabriele Canali

La siccità sta colpendo il nostro Paese, e in particolare l’Emilia Occidentale, le province di Parma e Piacenza. Lo stato di emergenza è stato dichiarato e le preoccupazioni, anche per i prossimi mesi, aumentano. Per ora il settore più colpito è l’agricoltura: in questa stagione, già particolarmente calda, la possibilità di irrigare è di importanza fondamentale soprattutto per alcune colture, pomodoro da industria e mais in primis. Sulla nostra provincia la presenza del Parmigiano Reggiano, che non consente un uso di insilato di mais e viceversa punta soprattutto sul fieno di erba medica, la sensibilità rispetto a questa produzione è minore. Non così per il pomodoro, che richiede necessariamente un apporto idrico adeguato se si vogliono ottenere produzioni in grado di assicurare redditi adeguati agli agricoltori. A Piacenza la situazione è anche peggiore, sia perché il mais è decisamente più presente, data la presenza di Grana Padano (che ne consente l’utilizzo) al posto del Parmigiano-Reggiano, sia per il fatto che è la provincia con le maggiori superfici a pomodoro in tutto il Centro-Nord Italia, ed è seconda solo rispetto a Foggia. Ma

l’agricoltura è solo il primo settore ad essere colpito; subito a ruota potranno subire limitazioni crescenti anche tanti altri usi civili, oltre che industriali.

Già si parla di interventi per regolare il lavaggio delle auto, l’irrigazione dei giardini e i suggerimenti per ridurre il “consumo” di acqua anche nelle nostre case si vanno moltiplicando su tutti gli organi di comunicazione: docce brevi, lavatrici e lavastoviglie solo a pieno carico, riuso di acqua per lavaggio di verdure, ad esempio, per irrigare i fiori, ecc. Ma non siamo stanchi di questi poco utili interventi d’emergenza? Queste “pezze” non paiono in grado di risolvere i problemi di un “vestito tutto vecchio e logoro”. Riconoscere che esiste un cambiamento climatico è il primo passo, non banale, viste le posizioni che anche a livello internazionale qualcuno sta sostenendo. Ma riconoscere questi cambiamenti e non fare nulla di serio sembra da sciocchi chiacchieroni un poco kamikaze. Se questo cambiamento, infatti, è di natura strutturale, anche gli adeguamenti dovranno essere, necessariamente, non solo occasionali ma strutturali. Gli inviti a sprecare meno acqua, infatti, per quanto doverosi, rischiano di non servire molto e comunque non aiutano a risolvere il problema più alla radice, come necessario.

L’acqua perduta. Innanzitutto c’è una grande quantità di acqua perduta, per diverse ragioni. C’è innanzitutto l’acqua piovana che non entra nelle falde a causa della cementificazione e della conseguente velocità con la quale essa scende a valle, immediatamente regimentata in corsi d’acqua sempre più veloci (e pericolosi). Ricordiamo ancora bene l’esondazione del Baganza a Parma, e del Nure nel Piacentino. Ma c’è anche tanta acqua che potrebbe essere raccolta utilmente in bacini, di diverse dimensioni e localizzazioni, certo da studiare ma anche da realizzare rapidamente.

Con piogge sempre più intense e brevi, la raccolta dell’acqua diviene una necessità inderogabile. Sulle modalità c’è bisogno di valutare in modo attento, ma non sulla necessità di provvedere. Poi c’è tanta acqua che potrebbe essere raccolta e riutilizzata negli edifici, pubblici e privati, nelle attività produttive, in modo strutturale e non limitandosi a portare la bacinella d’acqua del lavaggio dell’insalata in giardino.

All’estero mi è capitato più volte di trovare, nei servizi, un cartello che mi informava che l’acqua dello sciacquone poteva essere non proprio bianca perchè derivata da raccolta e stoccaggio di acqua piovana. In Italia non mi è mai capitato, nemmeno nei comuni che si dicono virtuosi. Forse sono stato solo sfortunato. Forse. Ma anche nei sistemi di trasporto dell’acqua per l’irrigazione, si può fare molto meglio. C’è ancora la possibilità di recuperare molto in termini di riduzione delle perdite per evaporazione o infiltrazione, nei sistemi di distribuzione attuali. Ma non si fa molto.

Acqua bene comune, non bene pubblico. Per molto tempo si è parlato di acqua come di bene pubblico. In realtà, da un punto di vista strettamente economico, è un bene comune. La differenza tra i due risiede nel fatto che mentre per entrambe le tipologie di beni c’è libero accesso alla risorsa e non c’è possibilità di escludere (non escludibilità), per il bene comune esiste una rivalità nel consumo, mentre per il bene pubblico questa rivalità non esiste. Ciò detto, è evidente che nel caso dell’acqua esiste rivalità, molta rivalità: tra agricoltori e ambientalisti, tra usi civili e usi industriali, tra noi che risparmiamo acqua e il nostro vicino che invece ne consuma anche troppa lavando la macchina. E le norme, per quanto rigorose, nel caso di consumi così diffusi e distribuiti in modo capillare, non possono essere efficaci, data la quali impossibilità di effettuare controlli. Per questa ragione, dopo tutto, ciascuno deve maturare la difficile convinzione che solo attraverso un uso responsabile dell’acqua che nasce dalla nostra consapevolezza, si potranno contrastare un poco gli effetti negativi sia dei cambiamenti climatici che dei mancati interventi strutturali. A ben pensare, essere altruisti e lungimiranti è un buon investimento per la collettività. Oltre che per noi stessi.

(*) professore associato Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientalisti sede di Piacenza