“Stiamo assistendo alla fine dell’epoca dei media tradizionali. Infatti, la pervasività sociale di quelli che noi ancora chiamiamo media, come dice il semiologo Ruggero Eugeni, ‘viene pagata con una de-individuazione dei dispositivi’. È appunto questo processo che segna la fine dei media”. Ne ha parlato ieri pomeriggio mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione (SpC), intervenendo al corso sulla “Diplomazia dei valori” – che offre percorsi di formazione per ambasciatori e funzionari delle Ambasciate presso la Santa Sede -, organizzato da “Carità Politica”, associazione internazionale di diritto pontificio. Analizzando l’attuale quadro mediatico, mons. Viganò ha rilevato come “oggi uno stesso evento venga ripreso e, quindi, trasmesso da tanti occhi quanti sono quelli che lo osservano. La differenza sta nel fatto che ciò che vedono gli occhi rimane nella memoria del singolo oppure svanisce nel tempo; ciò che si filma invece viene condiviso, inviato ad altri, finisce sul web e ci resta per sempre. Queste immagini, condivise, postate, diffuse senza mediazioni e filtri, sembrano portarci proprio nel cuore dell’evento.
È la partecipazione popolare, che crea una catena infinita abbattendo spazio e tempo, non senza gravi problemi sulla veridicità. Si ha a che fare, infatti, con notizie e immagini di ogni tipo: autentiche, false, falsificate, totalmente prive di interesse, tendenziose. È il problema dell’affidabilità di ciò che leggiamo sul web”. Insomma, ha concluso Viganò, “ci sono indubbiamente tanti elementi positivi, ma non dobbiamo mai dimenticare che nel giornalismo partecipativo chiunque può scrivere un commento o pubblicare una notizia falsa e, se questa viene ripresa dal web, il più delle volte rischia di diventare vera. Questo è solo uno degli elementi fenomenologici del mutamento di scenario che l’avvento della cultura digitale ha portato”.

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