Patrizia Caiffa

È una vera sfida culturale contro la corruzione quella partita oggi dalla Santa Sede. Il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, in collaborazione con la Pontificia Accademia delle Scienze, ha organizzato oggi alla Casina Pio IV, nella meravigliosa cornice dei Giardini Vaticani, un evento internazionale chiamando a raccolta magistrati, associazioni, forze dell’ordine, vittime di crimini e naturalmente esponenti ecclesiali, per discutere su quella che Papa Francesco definisce “la peggiore piaga sociale” e “il linguaggio delle mafie”. I partecipanti stanno discutendo su una bozza di documento che verrà approvata nel pomeriggio, per identificare proposte concrete che potrebbero portare a politiche e leggi in grado di prevenire la corruzione. Ne abbiamo parlato con il cardinale Peter Appiah Turkson, prefetto dello stesso Dicastero e autore del libro-intervista “Corrosione” uscito oggi. E con don Luigi Ciotti, fondatore di Libera.

Card. Turkson per la prima volta la Santa Sede organizza una iniziativa su un tema così importante e delicato. Perché?

Il Papa nei suoi discorsi ha parlato spesso di corruzione. Questo problema sociale è tra quelli di competenza del nostro Dicastero, il libro-intervista e l’evento di oggi rientrano in quest’ambito. La corruzione è un fenomeno oramai globale. Papa Francesco parlando dell’ecologia e del cambiamento climatico ha detto che i problemi globali devono essere risolti a livello globale, coinvolgendo tutti. Il percorso è iniziato l’anno scorso con quattro incontri, coinvolgendo avvocati, giudici, docenti a livello locale. Questo è un tentativo per allargare un po’ l’orizzonte ma mi rendo conto che bisogna includere ancora più persone per rendere la consultazione universale, allargato ad altri aspetti e altri Paesi.

Quali sono le radici della corruzione e la Chiesa cosa può fare?

La corruzione è radicata nel cuore dell’uomo, siamo noi a decidere cosa scegliere: l’avarizia e la cupidigia o la giustizia e il bene comune. La grande missione della Chiesa è la redenzione dell’uomo attraverso il cambiamento e la conversione del cuore.

Esistono Paesi virtuosi?

La corruzione è un po’ ovunque. E’ un fenomeno diffusissimo in tutto il mondo, in forme più o meno sottili.

Mercoledì scorso era la festa nazionale della Russia, ma in quella giornata ci sono state manifestazioni contro la corruzione. Per non parlare dell’Africa.

Rispetto all’Italia?

Non oso dire niente. Durante i miei studi avevo assistito alle lotte e agli omicidi della mafia. Per fortuna sono diminuite, ma so che quando Papa Giovanni Paolo II ha parlato contro la mafia hanno fatto esplodere una bomba a San Giovanni in Laterano, come se fosse una risposta. È un fenomeno da non sottovalutare. Se la corruzione è la base per assicurare il proprio benessere quando si vuole provocare un cambiamento si trovano resistenze. A meno che non si aiutino le persone a sviluppare altre sicurezze di vita.

Può citare qualche episodio personale in merito?

Quando uno studente fa l’esame per entrare all’università  si spera venga ammesso in base al merito. Invece a volte si scopre che, pur avendo voti alti ma non conoscendo nessuno, si impedisce l’ammissione al corso. Questa è una esperienza concreta di corruzione.

Qui in Italia, ad esempio, perché nelle grandi università alcuni posti non si liberano mai per nuovi professori? Perché sono intoccabili e inamovibili?

Ci sono studenti giovani che non hanno nessuna possibilità di occupare questi posti. Cos’è se non corruzione? Ci dovrebbero essere leggi nelle università che definiscano meglio queste regole. Ci sono anche casi in cui la cattedra viene passata ad un parente. Ci vuole un cambiamento del cuore, di un sistema di valori, bisogna amare un po’ la giustizia. Ci sono esigenze da rispettare. Se viviamo in una società bisogna cercare il bene di tutti. Sono le leggi basilari della giustizia.

Don Ciotti cosa pensa delle parole di Papa Francesco contro la corruzione?

Il Papa ci invita a un esame di coscienza, a guardare i nostri comportamenti, linguaggi e modalità. A guardarci dentro per guardare poi fuori:

una Chiesa che invita a guardare verso il cielo senza distrarci dalle responsabilità verso la terra.

È una grande sfida culturale per scuotere le coscienze ed educare alla responsabilità. Qui ho sentito ripetere tante volte la parola legalità ma bisogna stare attenti: la legalità rischia di diventare un idolo dietro il quale si nascondono un po’ tutti.

La legalità è uno strumento, un mezzo importante ma l’obiettivo resta la giustizia sociale.

Legalità non può restare nemmeno una parola educativa: è importante fare progetti nelle scuole, ma la legalità deve concretizzarsi, tradursi  in lavoro, servizi, opportunità per i giovani, sostegno alle famiglie, contrasto alle varie forme di violenza e di crimine, all’eroina che è ritornata alla grande, al gioco d’azzardo. Altrimenti resta una parola astratta. Dobbiamo avere un’attenzione particolare anche alle dipendenze degli “eremiti digitali”, quei ragazzi che navigano ore e ore su internet e si rinchiudono in se stessi e diventano patologici. Qui ci si è ritrovati per dire: come Chiesa facciamo uno scatto in avanti.

Qual è stato il suo contributo al dibattito?

Io mi sono permesso di dire che

la criminalità politica ed economica vanno a braccetto e favoriscono la criminalità organizzata. Mafia e corruzione in Italia sono due facce della stessa medaglia.

La presenza criminale mafiosa è tornata molto forte nonostante l’impegno e il sacrificio di molti. Non è solo un problema di ordine giudiziario. Non bastano solo le leggi. C’è una dimensione culturale ed educativa che deve entrare in gioco. E ci vuole un cambiamento dal basso. Ma non basta: bisogna che i movimenti si muovano da dentro altrimenti diventano eventi, manifestazioni. Tre parole diventano fondamentali: la continuità nel fare le cose, la condivisione e la corresponsabilità. La disponibilità a collaborare con le istituzioni se fanno bene e di essere un pungolo propositivo se non fanno ciò che devono fare.

Papa Francesco dice che la corruzione incide soprattutto sui poveri.

Certo. Ad esempio dove si privatizza la sanità ci sono più bambini che hanno meno accesso ai farmaci. Questo è un dato di cui dobbiamo tenere conto per dire che chi è più fragile ed escluso paga un prezzo alto, perché ha meno accesso ai diritti e alla dignità. In Italia le mafie non sono figlie della povertà e dell’arretratezza in senso stretto ma si avvalgono della povertà e dell’arretratezza, per avere un terreno fertile, per reclutare picciotti, per giocare sulla fatica e la disperazione di tante persone. C’è una ricerca uscita tempo fa che vale ancora oggi: padri di famiglia italiani con figli a casa che cercano disperatamente lavoro hanno dichiarato di essere disposti, pur di sfamare la propria famiglia, ad accettare lavori in cui potrebbero esserci grosse illegalità.

Qual è il ruolo delle Chiese contro la corruzione?

Devo riconoscere che ci sono già delle belle esperienze in giro. Noi dobbiamo sostenere e valorizzare le tante positività, che però sono ancora piccola cosa rispetto al grande bisogno che c’è. Le Chiese hanno un ruolo molto importante per risvegliare le coscienze. La parola da gridare qui oggi è libertà: perché i poveri non sono liberi, le mafie e la corruzione privano della libertà, impoveriscono. Forme di sfruttamento e di schiavitù  schiacciano la vita e la libertà della gente. Allora dobbiamo liberare la libertà, anche in Italia. Molte realtà hanno paura a reagire a causa di situazioni difficili e pesanti. Dobbiamo denunciare una certa omertà che uccide la speranza e la verità. In Italia il 70% delle vittime di mafie non conosce la verità. C’è solo una strage di cui sappiamo la verità ed è quella di Piazza della Loggia a Brescia. Di tutte le altri stragi non sappiamo la verità. Noi abbiamo bisogno di libertà e verità.

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