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Canali umanitari: delegazione Caritas-Sant’Egidio di ritorno dall’Etiopia, “grave situazione nei campi”

Dal 30 maggio al 2 giugno si è tenuta la seconda missione in Etiopia di Caritas italiana e Comunità di Sant’Egidio, insieme alla fondazione Ghandi, per l’apertura di un canale umanitario verso l’Italia. La delegazione, oltre alle riunioni istituzionali, ha visitato i campi da dove si intende reinsediare i 500 profughi previsti nel protocollo d’intesa firmato con il governo italiano. Nella regione del Tigray, zona di Shire, al confine con l’Eritrea sono oltre 36mila i profughi ospitati in 4 campi. Dopo aver visitato Mai-Aini e Adi-Arush, la delegazione è stata al campo di Shimelba, a nord e a ridosso del confine eritreo: baracche di legno, fango e lamiera, isolamento dovuto alla grande distanza dai centri abitati, possibilità di uscire dai campi solo con permesso, forte spinta all’emigrazione (dai dati Unhcr l’87% dei profughi nei campi del Tigray dichiara di volersi spostarsi, anche se dovesse appoggiarsi a trafficanti). “Abbiamo incontrato un gruppo di profughi, uomini e donne, con alle spalle un vissuto terribile – raccontano i membri della delegazione – fatto di abusi perpetrati dai beduini nella regione del Sinai dove sono stati prigionieri per mesi. Nel tentativo di emigrazione sulla rotta Sudan-Libia-Italia o Sudan-Egitto-Israele son state rapiti e torturati (violenze sessuali ripetute, scosse elettriche, percosse allo sfinimento). Le storie raccontate non possono lasciare indifferenti e probabilmente un primo gruppo di beneficiari verrà selezionato da questo gruppo”.

Nella regione di Gambella (Etiopia sud occidentale) vi sono al momento 330mila sud sudanesi in fuga dal loro Paese a causa del conflitto e della terribile carestia nello Stato interno di Unity. La delegazione ha visitato i campi di Jewi, Kule I e II, Tierkidi e Nguenyiel. I campi sono immersi nella foresta e i numeri aumentano in maniera esponenziale (oltre 80.000 persone da settembre 2016). I sud sudanesi ospitati sono per lo più pastori semi nomadi: si rifugiano oltre confine per vivere in immensi campi che replicano i villaggi lasciati in Sud Sudan. “Abbiamo visto una situazione di grave emergenza umanitaria (condizioni sanitarie estreme, carenza di strutture, malaria, reclutamento di minori da parte delle milizie all’interno dei campi), affrontata dalle organizzazioni internazionali con estrema difficoltà e in attesa che il conflitto in Sud Sudan termini, affinché le popolazioni possano rientrare”, spiegano. Una rappresentanza di profughi sud sudanesi di etnia Nuer, ma anche Dinka, ha confermato quanto già appreso dalle Ong presenti: la maggior parte non ha intenzione di muoversi verso l’Europa ma chiedono aiuti materiali per vivere nei campi, dove il rischio di malnutrizione è molto alto, soprattutto tra i bambini.