Zenit/ di M. Chiara Biagioni

FRANCIA – Ha vinto la voglia di dare una scossa alla Francia, di uscire dall’immobilismo del passato e di continuare ad avere fiducia nell’Europa. Ma soprattutto ha vinto l’ottimismo. Non sarà semplice. Il futuro è un’incognita, ma la Francia con la vittoria di Emmanuel Macron tira un sospiro di sollievo. Dominique Quinio ha diretto per anni il quotidiano cattolico francese “La Croix” e ora è responsabile delle Settimane Sociali di Francia. A lei abbiamo chiesto un’analisi del voto di domenica 7 maggio. I risultati definitivi danno a Emmanuel Macron il 66,1% dei voti e a Marine Le Pen il 33,9%. In termini assoluti, significa che 20 milioni di elettori hanno dato fiducia al leader di “En Marche” e 10 milioni al Front National. Ma è record storico di astensione: il 25,44% dei francesi non è andato a votare, mentre 3,01 milioni hanno votato scheda bianca; 1,06 milioni sono stati i voti nulli.

Quinio, ci dica quali sono a suo parere gli aspetti positivi della vittoria di Macron?
L’aspetto maggiormente positivo della vittoria di Macron è che non ha vinto il Front National.

Un partito quello di Le Pen che ha, comunque, preso molti voti, ma non così tanti come ci si attendeva. Un partito importante che ha saputo evolversi nel tempo, che si presenta con un programma inquietante fondato su esclusione e divisione. L’altro aspetto positivo è che, con Macron, si è riusciti a uscire da un clima tradizionale che vedeva storicamente contrapposte la sinistra e la destra, nel tentativo di riunire una parte di giovani che condividono il desiderio di dare una scossa alla Francia e riformarla. Altro aspetto positivo è il sostegno fermo del nuovo presidente al progetto europeo. È stato il solo a esprimere parole di fiducia per l’Europa.

Chi è Macron?
Il nuovo presidente si è affacciato sulla vita politica abbastanza recentemente. Sappiamo che ha grandi capacità.

Ciò che preoccupa è che dovrà fare i conti con una Francia molto divisa.

E lo è soprattutto tra le zone urbane e le zone rurali, tra chi ritiene che non bisogna avere paura dell’apertura al mondo e chi invece si sente minacciato da questa mondializzazione. Un clima complicato di cui i responsabili politici oggi ne dovranno tenere conto. Non è affatto sicuro che ci sarà una maggioranza al Parlamento. Questo è un aspetto che preoccupa: d’altra parte i partiti tradizionali, come i repubblicani e i socialisti, non hanno voglia di immaginare né tanto meno sono abituati a ragionare in termini di coalizioni, rimanendo ancorati alla politica del blocco contro blocco. Ci troviamo dunque di fronte a un’incognita e il futuro non si presenta semplice per il futuro presidente.

Rispondendo alle domande di un gruppo di studenti italiani, papa Francesco, pur non riferendosi esplicitamente a Emmanuel Macron e Marine Le Pen, ha parlato di clima fortemente divisivo e privo di dialogo e di un dibattitto pre-elettorale in cui “si buttavano delle pietre, non si lasciava finire l’altro”. Ed ha aggiunto: “Se a un livello così alto si arriva a non saper dialogare, la sfida dell’educazione al dialogo è molto grande”. Che cosa ha pensato quando ha ascoltato queste parole?
Che il Papa ha ragione. La campagna elettorale è stata molto aggressiva. Un clima duro cominciato al primo turno con l’affaire Francois Fillon ed è continuato dopo.

Il dibattito televisivo è stato pietoso

ma penso che lo sia stato per colpa della candidata del Front National, che ha aperto il confronto in maniera molto aggressiva utilizzando parole dure che non avevo mai sentito prima. Parole a cui Macron ha risposto in maniera altrettanto dura. Credo che lo abbia fatto per dimostrare che era capace di difendersi.

Stiamo vivendo un periodo storico in cui è sempre più difficile mettersi in ascolto delle ragioni dell’altro e questa incapacità genera un clima di sfiducia e di aggressione verbale.
Assolutamente. Ma è una mancanza di capacità di dialogo diffusa a tutti i livelli, tra i rappresentanti politici, tra sindacati e imprenditori, incapaci sia gli uni sia gli altri di raggiungere accordi o intavolare trattative che possano ridare fiato all’economia e al lavoro. È qualcosa che attraversa la società, e non solo francese, e che nel caso della Francia, renderà difficile la composizione di un governo di coalizione.

Un’altra critica che abbiamo sentito in Italia mette in causa la Chiesa cattolica francese perché non ha saputo prendere posizione per un candidato e non ha firmato un comunicato congiunto di protestanti, musulmani ed ebrei a favore di Macron contro il Front National. Si è detto che la Chiesa cattolica sia rimasta ambigua. È così?

Credo piuttosto che quella dei vescovi francesi era una situazione molto complicata.

Avevano pubblicato prima della campagna elettorale un testo molto interessante sulla politica (dal titolo “Réhabiliter le politique”), in cui si ricordavano alcune idee forti della dottrina sociale della Chiesa. Dopo il primo turno, il segretario generale della Conferenza episcopale ha diffuso un comunicato in cui – sebbene non fosse esplicitato – lasciava supporre che il Front National non poteva essere una scelta per il suo atteggiamento contro lo straniero e gli immigrati. Detto questo, bisogna anche dire che per i vescovi non è stato facile. Intanto perché tra loro sono divisi. E poi perché sentono che anche i cattolici di Francia sono molto divisi tra loro.

I sondaggi hanno mostrato che una parte dei cattolici praticanti era pronta a votare per il Front National, ma che molti altri si sono astenuti e altri ancora hanno votato scheda bianca.

Dunque, se i vescovi si tirano indietro e la Chiesa cattolica è divisa, quale ruolo possono giocare i cattolici oggi in Francia?
Noi, come Settimane Sociali per esempio, abbiamo preso una posizione chiara che chiedeva di non astenersi né di votare scheda bianca, perché questo avrebbe fatto il gioco dell’estrema destra dandole una percentuale di voto maggiore. Abbiamo chiesto di votare per Emmanuel Macron, pur essendo consapevoli delle incertezze che questo voto implicava. Ma da tempo e non solo in questa occasione rivolgiamo l’appello a non rinchiuderci nelle nostre comunità cristiane ma essere presenti nella società ed essere, come diceva il Papa, in dialogo con tutti, cercando insieme soluzioni e puntando sul meglio di ciascuno, consapevoli di vivere in una società pluralista, con visioni molto diverse tra loro che saranno però sempre più chiamate a mettersi in ascolto tra loro e non chiudersi in se stesse. Chi ha votato Macron ha detto che lo ha fatto per ridonare alla Francia l’ottimismo. Il nostro è un Paese che da tempo non guarda al futuro con fiducia: si ha la sensazione di aver perso la corsa. La Francia ha quindi un assoluto bisogno di gente convinta che non è vero che tutto è perduto e che si possa fare qualcosa. Ed è questo il ruolo dei cattolici oggi.

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