Zenit

INDONESIAUna Corte distrettuale della capitale indonesiana ha condannato martedì 9 maggio l’ex governatore di Giacarta, Basuki Tjahaja Purnama, detto “Ahok”, a due anni di carcere. La corte ha ritenuto il cristiano di etnia cinese colpevole di blasfemia. La difesa del politico ha annunciato che ricorrerà in appello contro il verdetto, più pesante di quanto richiesto dall’accusa.

In una prima reazione alla sentenza, il Segretario della Commissione per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale dell’Indonesia, padre Agustinus Ulahayana, ha parlato di una vicenda “molto triste”. “I gruppi islamici radicali hanno influenzato questo verdetto e anche l’intera vicenda, inclusa la recente campagna elettorale”, così ha detto a Fides.

“Oggi prendiamo atto della debolezza del sistema giudiziario e dell’impatto che hanno ottenuto i gruppi radicali. C’è stata negli ultimi mesi una evidente strumentalizzazione della fede islamica a fini politici e questo è un fenomeno che potrà ripercuotersi anche sulle prossime elezioni nazionali”, ha proseguito padre Ulahayana.

Sul verdetto si è espresso anche il segretario del “Setara Institute”, padre Benny Susetyo. “La condanna di Ahok è una sconfitta per lo stato di diritto. I gruppi islamici radicali l’hanno avuta vinta e questo è pericoloso per il futuro di questa nazione”, ha detto il sacerdote cattolico.

“Ahok” era stato accusato di vilipendio al Corano, perché nel settembre scorso aveva citato maldestramente durante un comizio un versetto della Sura 51 “Al Maidah” del Corano, suscitando l’ira di gruppi musulmani integralisti.

Nella prima udienza del processo, il 13 dicembre scorso, “Ahok” aveva respinto l’accusa, dicendo che non aveva alcuna intenzione di interpretare erroneamente la Sura né di commettere blasfemia.

Il politico aveva ricordato anche che i suoi genitori adottivi sono musulmani. “Essere accusato di aver insultato l’Islam, per me significa essere accusato di aver diffamato la mia famiglia musulmana”, aveva detto.

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