ZENIT/ di Vincenzo Bertolone

«La famiglia è lo specchio in cui Dio si guarda, e vede i due miracoli più belli che ha fatto: donare la vita e donare l’amore».

San Giovanni Paolo II aveva le idee chiare ed il cuore pieno d’amore. Ma oggi forse pure lui avrebbe qualche difficoltà non a immaginare la famiglia, ma a riconoscerla: se ne parla sempre più spesso quale luogo di incomprensioni, sofferenze, violenza e delitti, o al contrario di comodo rifugio. Si oscilla, insomma, tra una visione fosca di inferno domestico ed una, oleografica, di paradiso di amore. La realtà è che la famiglia, quella tratteggiata dal Pontefice santo e della quale si avverte un grande, disperato bisogno, esce con le ossa rotte dal corpo a corpo quotidiano con un’economia precaria, che fa prevalere «in certi casi l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto», come scrive Papa Francesco in Amoris laetitia (n. 33).

Ricordare queste cose riveste un significato anche maggiore nel giorno in cui, sospesi tra la sincerità dei sentimenti e gli ammiccamenti interessati degli affari, si celebra “la festa della mamma”: il calo progressivo di nascite, che si ripropone ogni anno, racconta di nuclei sempre più in difficoltà e di giovani che faticano a diventare genitori a causa di un contesto economico non facile e – soprattutto – di una tendenza che per troppo tempo ha relegato la famiglia ai margini.

Eppure non è sempre stato così. In altri periodi storici, in molte culture, nelle più diverse parti del mondo, alla famiglia veniva riconosciuta una rilevanza anche economica. Attorno ad essa si costruivano e ordinavano non solo i temi identitari, giuridici, affettivi e demografici, ma pure la costruzione, l’accumulo e la trasmissione ordinata della ricchezza, da una generazione all’altra. La stessa parola “economia”, non a caso, ha a che fare con “le regole della casa”, con lo sviluppo ordinato della vita familiare, come a testimoniare che senza una famiglia in buona salute non può esserci nemmeno la società in buona salute.

È per questo che si deve guardare con favore a provvedimenti (qualcuno approvato altri in discussione, altri ancora solo pensati) finalizzati ad introdurre nuove misure su asili e natalità ed in particolare ad una riforma fiscale che incominci finalmente a premiare chi si fa carico di provvedere alle generazioni future.

L’operazione è complessa, perché se si rappresenta la famiglia come un soggetto puramente economico, la tentazione di considerarla solo sotto questo aspetto potrebbe prevalere. Consapevoli di questo rischio, la questione va affrontata e risolta, da tutti, insieme: famiglia e i figli, non possono essere considerati “patrimonio” di una sola parte politica, per il semplice fatto che lo sono. Essi sono risorse e fattori di sviluppo del Paese. E immaginare un’Italia che ridia centralità alla famiglia vuol dire lavorare per una casa comune più aperta ai deboli e più accogliente verso tutti. Significa, citando lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton, difendere l’uomo e la sua libertà, dal momento che essa «è la prova della libertà, ed è l’unica cosa che l’uomo libero fa da sé e per sé». Insomma, per rinnovare la società bisogna ripartire dalla famiglia e farle “prendere il volo”.

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