DIOCESI : Sono trascorsi otto lunghi mesi da quel terribile “24 agosto 2016” che ha devastato alcune zone del centro-Italia. Il lavoro dei volontari prosegue in maniera incessante nelle strutture alberghiere che accolgono numerosi abitanti delle zone terremotate. Abbiamo deciso di pubblicare una bella testimonianza di una giovane volontaria della Caritas Puglia, la dott.ssa Giovanna Ferro della diocesi di Andria.

Un albergo diventato comunità. Così si racchiude figurativamente l’esperienza come volontaria Caritas della Diocesi di Andria, presso San Benedetto del Tronto, negli alberghi Relax, Bolivar e Progresso. In questi alberghi, risiedono gli sfollati del terremoto di Accumoli, Grisciano, Amatrice e di tante altre frazioni. Un albergo perché non è solo il luogo fisico, nel quale risiedono gli sfollati, ma riporta alla mente le persone conosciute e le loro storie.

Nasce un’associazione spontanea: un albergo con le sue varie stanze rimanda all’essere umano fatto di tanti aspetti, tante emozioni, di tante sfaccettature; con tante porticine da aprire e scoprire. Tante storie al di là. Da inizio marzo i volontari della Caritas Puglia hanno iniziato ad essere presenti a San Benedetto del Tronto, alternandosi all’incirca ogni 15 giorni, con la presenza di due volontari da parti diverse della Puglia. In questa prima fase, l’obiettivo è stato quello di conoscere la situazione negli hotel ed essere vicini alle persone, questo unito ad un lavoro di presenza discreta negli alberghi accanto alle persone attraverso un ascolto empatico per rendere più tangibile e partecipativa la presenza della Caritas Puglia, animazione dei ragazzi (tempo libero, aiuto nello studio, ecc.), sostegno alle persone più deboli, disbrigo pratiche e servizio religioso.

Non è la stessa cosa leggere un titolo di un giornale, ascoltare una notizia al telegiornale o guardare le immagini alla tv rispetto al lasciarsi attraversare da una storia, da un’emozione, dagli sguardi. Questa è una di quelle esperienze di chi dice “se non l’hai vissuta non puoi capire”, il timore di essere sopraffatti dal senso di impotenza è forte. All’inizio si è percepito negli sguardi degli ospiti degli alberghi, appunto, il pensiero: “nessuno può capirci”. Era forte la diffidenza e la resistenza, una sorta di muro, ma è insito nell’essere umano costruire muri, soprattutto dopo esperienze così forti e distruttive; è una forma difensiva per proteggersi. Famiglie che hanno visto perdere i loro cari, persone che hanno visto le loro case sgretolarsi, persone che hanno vissuto la loro personale fine del mondo; tutti loro si trovano a vivere in un albergo che non è la loro casa ma allo stesso tempo è diventata la loro casa. Si trovano a condividere l’intimità di una casa, gli spazi e la vita quotidiana con persone che non conoscevano, e che ora sono diventati il loro mondo. Con un po’ di tempo, molti di loro, hanno permesso di entrare nel loro mondo e di abbattere il muro. Hanno raccontato storie, drammi, eventi significativi ed è stato possibile anche condividere momenti piacevoli (una pizza insieme, un gelato, una serata danzante, un concerto, i compiti con i bambini, giochi, i pasti, una passeggiata, l’accompagnamento in giro per commissioni varie).

Anche fare un lavoro di rete, con gli altri volontari e professionisti del territorio, è stato utile; al fine di rendere l’aiuto della Caritas più radicato e legato alle esigenze delle persone. Lasciarsi attraversare dalle loro storie, incontrare i loro sguardi e ascoltare le loro parole e le loro emozioni è stato arricchente. Sentirsi utili nel piccolo, anche solo per una passeggiata con un signore in carrozzina, rende tangibile l’idea che per essere solidali non servono grandi cose, non servono grandi manifestazioni. È stato bello anche percepire il senso di comunità religiosa, partecipando alla realizzazione della Via Crucis. È pur vero, che in alcuni la fede ha subito degli scossoni forti a seguito di ciò che è successo, però questi momenti comunitari hanno consentito di sentirsi più vicini tra loro e nella fede. Ricevere un messaggio da una delle persone incontrate con scritto: “non mi lego facilmente soprattutto dopo questa esperienza ma farlo con voi è stato inevitabile e naturale”; ti riempie di gioia.

Il terremoto non è solo una scossa della terra, di qualcosa di materiale, ma è anche la scossa degli animi, di qualcosa di immateriale. Il terremoto della terra genera un terremoto interiore, ci ricorda che siamo uomini e da lì nasciamo. Il terremoto ha distrutto, ma vive la speranza che si può rinascere. Come la fenice che risorge dalle proprie ceneri. Risuona nella mente la frase del Vescovo di Rieti: “Uomo dell’Appenino noi non ti abbandoneremo, dell’alba ancor ti stupirai”. 

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