Di Patrizia Caiffa

Continuano in Venezuela le manifestazioni e la repressione da parte del governo di Nicolàs Maduro. È salito a 32 morti il bilancio delle vittime dall’inizio del mese ad oggi. Per lunedì prossimo l’opposizione ha convocato una nuova protesta di piazza nella capitale, per rendere omaggio alle vittime. Da Caracas Janeth Marquez, direttrice nazionale di Caritas Venezuela, ci descrive quanto sta accadendo.

La Caritas del Venezuela sta rispondendo all’emergenza umanitaria provocata dalla crisi economica e politica organizzando mense solidali in cui le persone condividono ciò che hanno, programmi sanitari e distribuzione di medicinali.

Quali sono le cifre dei bisogni umanitari?
Una gran parte della popolazione ha bisogno di aiuti. Gli indicatori parlano dell’80% di persone in povertà, di cui il 50% in condizioni estreme. Parliamo di persone che non hanno entrate sufficienti alla sopravvivenza, cioè per l’acquisto di cibo e farmaci. Anche la classe media fatica a trovare medicinali per curare alcune patologie come il diabete o l’ipertensione, di conseguenza la qualità di vita è peggiorata, aumentano le malattie. Per la Chiesa e le organizzazioni della società civile sta diventando tutto più complicato perché ogni giorno bussano alle nostre porte per chiedere aiuto ed è difficile scegliere a chi destinare gli aiuti, sono talmente tante le necessità.

I bambini e gli anziani sono i più colpiti, ma la situazione difficile riguarda tutti, poveri e classe media.

Quali aiuti state fornendo alla popolazione?
La Caritas è fortemente coinvolta nell’emergenza: organizziamo mense solidali in tutto il Paese e promuoviamo programmi sanitari e distribuzione di farmaci ai più vulnerabili. Ci è particolarmente a cuore il tema della malnutrizione infantile, c’è tanta fame, molta gente non ha possibilità di comprare gli alimenti perché i prezzi sono altissimi a causa dell’inflazione. Lo stesso per i farmaci, che non si trovano e costano tanto.

Come Caritas lavorate in tutto il Paese, distribuite cibo in strada, andate casa per casa, fate presenti le vostre perplessità, nonostante la presenza di gruppi armati che difendono il governo. Non avete paura?

Ci sono momenti di paura e parrocchie in cui non possiamo lavorare per l’insicurezza e la presenza di gruppi armati.

Però la Chiesa è uno degli attori che ha più credibilità tra la popolazione e più progetti sociali, mense sociali e servizi. Molti giovani che prima ci aiutavano come volontari ora stanno uscendo dal Paese e, purtroppo, questo incide sul nostro lavoro.

Riuscite a far arrivare aiuti umanitari dall’estero, in particolare farmaci?
Tramite la dogana non possiamo ricevere quantità molto grandi, non abbiamo l’autorizzazione. È un lavoro molto duro e difficile: stiamo chiedendo permessi speciali per far entrare aiuti umanitari esterni ma non ce li hanno ancora dati perché vorrebbe dire riconoscere che il governo non è in grado di risolvere i problemi dei venezuelani.

Ricevete sostegno della rete internazionale delle Caritas?
Stiamo ricevendo timidi aiuti dalla Caritas degli Stati Uniti. Nonostante il Pil del Paese sia alto molte Caritas si rendono conto che situazione è complessa e abbiamo bisogni enormi. Le Caritas di Spagna e Germania hanno intenzione di aiutarci. Finora non abbiamo vissuto grazie alla cooperazione internazionale ma al sostegno d’imprese private interne, che però non esistono più perché sono fallite e non hanno più la possibilità di aiutarci.

Nell’ultimo mese milioni di persone sono scese in piazza a manifestare: il governo sta perdendo consensi?
In questo ultimo mese la gente ha iniziato a cambiare atteggiamento nei confronti del governo che hanno appoggiato per 17 anni. C’è un’alta percentuale di scontenti perché non vedono soddisfatti i loro bisogni primari come cibo e medicine, per questo molti scendono in piazza. C’è gente che ha perso fino a 20 chili a causa della fame, molti cercano cibo nella spazzatura, ci sono tantissimi bambini denutriti.

In futuro potrà cambiare qualcosa?
La situazione è molto complicata, però almeno la gente comincia ad avere consapevolezza della necessità di un cambiamento. Noi, come Chiesa e come corpo intermedio della società civile, pensiamo che

le cose non cambieranno molto rapidamente. Sicuramente c’è più consapevolezza di prima, però manca la coesione sociale.

Dodici Paesi dell’America Latina hanno chiesto al Papa e al Vaticano di tentare una nuova mediazione dopo quella dello scorso anno, pensa sia possibile?
L’anno scorso il governo ha sfruttato il tema del dialogo per confermare la possibilità di mantenersi al potere, però noi crediamo che

l’unica via d’uscita da questa situazione sia la negoziazione.

Il dialogo è importante, però ci deve essere pari partecipazione delle parti, e che siano rispettate le condizioni richieste dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nella sua lettera, tra cui la definizione di un calendario elettorale, la liberazione dei prigionieri politici, la restituzione delle prerogative al Parlamento, l’autorizzazione all’invio di aiuti umanitari. Gli altri temi sono difficili ma almeno l’assistenza umanitaria dovrebbe essere garantita. Gran parte della popolazione non ha molta fiducia nel dialogo e non lo appoggia con forza. Io penso che nei prossimi mesi sarà necessario e fondamentale.

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