DIOCESI – Giovedì 13 Aprile in occasione della celebrazione “In Coena Domini” il Vescovo Bresciani, sull’esempio di Gesù, ha lavato i piedi ad alcuni fratelli e sorelle che vivono le dolorose conseguenze del sisma e ad alcuni volontari.
Un piccolo segno dell’attenzione che la nostra Chiesa di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto desidera avere nei confronti di chi vivere lontano dalla propria terra e di chi generosamente si mette a servizio.
Diventi impegno di tutta la comunità ad una prossimità discreta e fraterna perché nessuno si senta lasciato solo o abbandonato dal Signore

Durante l’omelia il Vescovo Bresciani ha affermato: “Gesù cena l’ultima volta, prima di morire, con i suoi discepoli. È una cena intima, Lui solo con loro. È una cena di addio, o meglio di arrivederci in quella vita nuova che scaturirà dal sepolcro dopo la sua morte. È la cena del ricordo della liberazione di Israele dalla schiavitù dell’Egitto, per la mano potente di Dio, ma nello stesso tempo attua una nuova e definitiva liberazione attraverso un altro agnello immolato: Gesù. Una cena desiderata. Lui stesso dice “ho desiderato tanto mangiare questa cena pasquale con voi” (Lc 22, 15). Il sangue dell’agnello pasquale di Israele sparso sugli stipiti delle porte, aveva protetto gli Ebrei nella notte della liberazione dall’Egitto; il sangue di Gesù protegge e libera noi da quel male che, partendo dal nostro cuore, minaccia noi stessi e il mondo.

Il desiderio di Gesù non è solo quello di una cena intima di addio con i suoi discepoli; è il fortissimo desiderio che quelli che Lui ama -tutti noi- possano essere liberati dal male e dal peccato. Con la sua passione e morte egli ne apre e indica la via.

In questa luce vanno lette le parole ultime che egli dice ai suoi apostoli, ma anche i gesti che egli compie. “Vi ho indicato la via”. E la via indicata da Gesù è caratterizzata da due atteggiamenti fondamentali che questa sera ci vengono ricordati.

Il primo lo troviamo nel discorso molto insistente e appassionato sull’essere uniti: per questo Egli prega il Padre, e lascia questo a noi come un comandamento, il nuovo comandamento: quello di amarci come lui ci ama, in modo da essere in comunione con il Padre e tra di noi. Gli Apostoli e i primi cristiani hanno compreso, accolto e vissuto questo comandamento. Infatti, gli Atti degli Apostoli dicono che “erano perseveranti nella comunione” (At 2, 42); in una comunione, quindi, che non era affidata alla spontaneità, ma alla perseveranza, che indica ricerca e impegno. Dovrebbe, questa, essere una caratteristica che contraddistingue il cristiano.

Ma sappiamo che non sempre si tratta di cosa facile. È necessaria la capacità di comprendersi, di perdonarsi, di stimarsi a vicenda e di non voler prevalere sugli altri. La comunione è rotta quando ci si lascia prendere dal proprio egoismo o dalla volontà di affermare se stessi e si guarda al fratello come a un rivale concorrente su cui prevalere. Da qui nascono il desiderio smodato di potere, l’attaccamento al denaro e la corruzione che tanto male fanno alla società. In fondo, nasce da qui anche il peccato dell’apostolo Giuda e di tanti suoi corrotti emulatori che tante ferite hanno portato e continuano a portare alla Chiesa e all’umanità.

Gesù, questa sera, ci invita a perseverare nella comunione. Non c’è Chiesa, corpo unico di Cristo, se non comprendiamo che la comunione è superiore a qualsiasi divisione, se la rivendicazione dei carismi/doni che Dio ha dato a ciascuno di noi porta a non essere “uno come lui, il Padre e lo Spirito sono uno”. La Chiesa non può essere guidata dalla logica di partiti contrapposti che lottano per il potere o per l’affermazione della propria superiorità: questa era la visione di Giuda. Non va bene per i partiti politici (che arrivano fino a denigrarsi a vicenda in modo penoso), meno che meno va bene per la Chiesa. Quando l’attaccamento al proprio gruppo o partito o ruolo prevale sul bene comune, la strada verso la comunione si è interrotta.

Se Gesù per la comunione dona la sua vita, il cristiano deve essere pronto a rinunciare anche a qualcosa per la comunione. E questo perché la comunione è superiore alla divisione. Purtroppo Giuda questo non l’ha capito e ha introdotto una terribile frattura in quella Chiesa nascente; ha preferito i trenta denari della corruzione, che però l’hanno portato alla morte: triste guadagno della sua avidità.

Il secondo atteggiamento che Gesù indica come strada verso l’unità nella Chiesa e nel mondo è quello che Egli manifesta con la lavanda dei piedi. Gesto che richiama un servizio umile fatto al fratello, un gesto di aiuto che comporta un abbassamento di sé senza paura di perdere la propria dignità o il proprio ruolo. Occorre molta umiltà per essere costruttori di comunione e Gesù la manifesta fino in fondo, fino all’umiltà dell’accettazione della croce.
La comunione si costruisce solo con l’atteggiamento che Gesù ci indica, assumendo anche un servizio molto umile, Lui, il Figlio di Dio e Dio lui stesso. Atteggiamento che mostra dal vivo che cosa voleva dire quando ha affermato: “Chi vuol essere il primo tra voi, sia il servo di tutti”. Se vogliamo essere uomini e donne di comunione, non possiamo che perseverare in questo atteggiamento di umiltà e di servizio.

Mi piace collegare il gesto del lavare i piedi con il saper comprendere i limiti e i difetti dei fratelli, cercando di porvi rimedio, invece di limitarsi ad accusare e a metterli in pubblico per umiliare l’altro. Atteggiamento che purtroppo nei social (per sé strumenti di comunicazione molto utili), ma non solo nei social, non costruisce nulla: diffonde solo sporcizia, quando non vere e proprie calunnie sul prossimo. Dobbiamo guardarci bene da questi atteggiamenti distruttivi, che minano fortemente la comunione e mancano assolutamente di carità.

Perseverare nella comunione non vuol dire una volta tanto, una volta nella vita, ma farne uno stile quotidiano di vita, un modo usuale di comportarsi nella Chiesa e nel mondo. Perseverare comporta anche accettare qualche fatica e rinuncia, lieti del bene che così viene procurato a beneficio di tutti.

Se così faremo, sempre più adempiremo alla preghiera di Gesù in quella sua ultima cena: che “siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai amato e li hai amati come hai amato me” (Gv 17, 23).

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