M.Michela Nicolais

Speranza è dare la vita. Come fanno le madri quando danno alla luce il proprio bambino. Partoriscono nel dolore, ma subito dopo si ricordano solo la gioia di aver messo al mondo un nuovo essere umano. Nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata davanti a circa 10mila persone, il Papa ha messo a confronto le speranze del mondo, e la speranza della croce.

La speranza nasce dalla croce, dice ancora a braccio il Papa: da lì arriverà la speranza che non sparisce più, quella che dura fino alla vita eterna.

“A Pasqua, Gesù ha trasformato, prendendoli su di sé, il nostro peccato in perdono, la nostra morte in risurrezione, la nostra paura in fiducia”, spiega: “Ecco perché lì, sulla croce, è nata e rinasce sempre la nostra speranza; ecco perché con Gesù ogni nostra oscurità può essere trasformata in luce, ogni sconfitta in vittoria, ogni delusione in speranza”. “La speranza supera tutto, perché nasce dall’amore di Gesù che si è fatto come il chicco di grano in terra, è morto per dare vita, e da quella vita piena di amore viene la speranza”, dice ancora a braccio.

Quando scegliamo la speranza di Gesù, a poco a poco scopriamo che il modo di vivere vincente è quello del seme, quello dell’amore umile. Non c’è altra via per vincere il male e dare speranza al mondo, assicura Francesco: sembrerebbe una logica perdente, perché chi ama perde potere – ripete per due volte il Papa – ma in realtà solo la logica del seme dà frutto. Lo constatiamo tutti i giorni: possedere spinge sempre a volere qualcos’altro. “Chi è vorace non è mai sazio”, chi ama la propria vita la perde, traduce Gesù. È una “sete brutta” quella del possedere:

“Chi ama il proprio e vive per i suoi interessi si gonfia solo di sé e perde. Chi invece accetta, è disponibile e serve gli altri, vive al modo di Dio: allora è vincente, salva sé stesso e gli altri, diventa seme di speranza per il mondo”. “È bello aiutare gli altri, servire gli altri”, esclama il Papa, ancora a braccio: “Ma forse ci stancheremo, nella vita è così, ma il cuore si riempie di gioia e di speranza. E questo è l’amore e la speranza insieme: servire, dare”.

La croce, infatti, è il passaggio obbligato, ma non è la meta: la meta è la gloria, come ci mostra la Pasqua. Per spiegarlo Francesco cita quella che definisce un’immagine bellissima, tratta dal Vangelo di Giovanni. Il lascito ai discepoli durante l’Ultima Cena:

“La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo”. “Ecco: donare la vita, non possederla, e questo è quello che fanno le madri”, commenta a braccio: “Danno un’altra vita, soffrono ma poi sono gioiose e felici”.

L’amore è il motore che fa andare avanti la nostra speranza, ripete poi due volte, prima dell’invito, di nuovo fuori testo, a contemplare il Crocifisso, sorgente di speranza. “Con te niente è perduto. Con te posso sempre sperare. Tu sei la mia speranza”, la frase assegnata ai 10mila della piazza come compito a casa.

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