DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 2 aprile.

Dice Gesù: «Io sono la resurrezione e la vita». Non “io sarò la vita”, in un domani lontano e non ben definito, ma qui, ora! Io Sono!

E, di questa realtà, ne fanno esperienza in tanti, così come ci narra, nella liturgia di questa domenica, l’evangelista Giovanni.

Innanzitutto Lazzaro, amico di Gesù, morto e già sepolto da giorni.

«Lazzaro, vieni fuori! Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse: “Liberatelo e lasciatelo andare». Non si tratta solo di un miracolo, seppur grandioso, magnificente, sicuramente unico.

Gesù, oggi, dice a ciascuno dei protagonisti del Vangelo e a noi stessi «vieni fuori!».

Vieni fuori dal tuo stato di morte, di non speranza, di vita spenta e immobile, di disagio, di non senso, di disamore.

Allora, «vieni fuori!» diventa un imperativo per i discepoli, pieni di paura al pensiero di dover tornare in Giudea, là dove avevano appena cercato di lapidare e uccidere Gesù. Venite fuori dal vostro atteggiamento difensivo, dai baluardi, dalle trincee costruite, dalle false sicurezze che impediscono visuale, movimento, relazioni, vita.

«Vieni fuori!» Gesù lo dice anche a Marta e a Maria, sorelle di Lazzaro. Entrambe si rivolgono a lui con queste parole: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto».

E’ un venir fuori, per Marta, dalla tomba di una religione non ancora del tutto “trasformata” in vita, di una buona notizia che non ha ancora del tutto scardinato i precetti di un credo che non è ancora relazione.

E’ un venir fuori, per Maria, dalla tomba di un dolore che non trova conforto, che imprigiona, che ti chiude in casa, che ti costringe a stare seduta!

«Vieni fuori!»: ancora lo stesso grido rivolto ai Giudei, fermi sulla tomba dell’incredulità: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».

«Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele […]. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete», dice il profeta Ezechiele nella prima lettura.

Ce lo conferma Paolo, nella lettera ai Romani: «E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi».

Risuscitati perché amati: è l’esperienza di Lazzaro, riconsegnato alla vita dall’amore, fino alle lacrime, di Gesù. E’ l’esperienza di Marta che arriva a riconoscere «…il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». E’ l’esperienza di Maria che, da seduta, «si alzò subito e andò da [Gesù]». E’ l’esperienza di «molti dei Giudei che erano venuti da Maria» e che «alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui».

Chiediamocelo anche noi: da cosa abbiamo bisogno di risorgere in questa Pasqua? Da quale sepolcro il Signore deve tirarci fuori? Perché la vita è presenza del Signore non fine a se stessa ma per una liberazione, per compiere, ogni giorno, la volontà del Padre…perché fuori da questa volontà, non c’è vita!

 

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