“Le esigenze di trasparenza e di legalità sono un banco di prova, la condizione di credibilità della Chiesa”. Ad affermarlo è stato don Ivan Maffeis, sottosegretario Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, intervenuto questo pomeriggio al convegno nazionale degli Istituti diocesani per il sostentamento del clero, in corso a Roma fino al 15 marzo. “Il vostro lavoro è quello che cattura di più l’attenzione dei media”, ha esordito Maffeis: “Se per noi parlano i fatti, è anche vero che ogni volta che ci rapportiamo con i media, esponiamo non solo noi stessi, ma la Chiesa”. “Davanti a tanti episodi di cattiva gestione, veri o presunti che siano – ha ammonito il relatore – lo smarrimento è duplice: in primo luogo perché a tradire la fedeltà è un pastore, in secondo luogo perché il suo farsi mercenario ha trovato complicità, magari con la scusa di non far scoppiare uno scandalo”. “Negli ultimi dieci anni – ha reso noto Maffeis citando un’indagine del Servizio Cei per il sostegno economico alla Chiesa sull’otto per mille – mai la Chiesa ha toccato livelli di scarsa credibilità come lo scorso anno, e proprio per una cattiva gestione del denaro”. “La delusione allontana dall’appartenenza, dal sentirsi Chiesa”, ha spiegato il sottosegretario della Cei, indicando nella necessità di recuperare la fiducia una delle priorità, in una cultura in cui “termini come segreto o riservatezza non esistono più, sono stati spazzati via”. Un esempio per tutti: la “cultura dei social”, dove “l’attenzione che ci è riservata è condizionata al dover rinunciare a fette sempre più significative della nostra intimità, della nostra privacy”.

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