Di Marco Pedde

Nel settembre 2013 il popolo sardo ebbe l’occasione di assistere, in quel di Cagliari, alla visita pastorale del neoeletto papa Francesco. Attraverso l’Aisla, Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, mi fu data, assieme ad altri, l’opportunità d’incontrare direttamente il Pontefice.

Si trattava della mia prima lunga trasferta da malato di Sla e le difficoltà oggettive erano ingigantite dalla paura degli imprevisti. Pur titubante, sentivo però il forte desiderio di conoscere personalmente la più alta e autorevole figura del cristianesimo nel mondo.

I giorni precedenti alla partenza furono caratterizzati da ferventi preparativi, perché l’organizzazione del viaggio doveva rasentare la perfezione. La preoccupazione più grande fu quella di non riuscire a trascorrere tante ore seduto sulla carrozzina. Per me era un grosso punto interrogativo. Potete immaginare come passai la notte prima.
Ricordo che riuscii a dormire solo qualche ora, tanta era la tensione che mi accompagnava: sveglia alle quattro del mattino, ultimi controlli della strumentazione da portare appresso, e poi via, partenza verso il sud della Sardegna.

Il viaggio da Nuoro a Cagliari fu una vera avventura, con otto persone a bordo del mio mitico furgone che chiacchierano per duecento chilometri, un vero caos. Dopo alcune soste già preventivate, arrivammo nel capoluogo sardo con largo anticipo per l’incontro col Papa, previsto per le ore 10.

Una volta sistemati nella grandiosa Basilica di Bonaria, tutti attendevamo con grande trepidazione l’arrivo di Francesco Dopo il suo ingresso nella chiesa della Patrona dei sardi regnava un silenzio reso assordante dall’emozione e dalla speranza.

Al di là della fede che ciascuno può avere, vi assicuro che trovarsi davanti a una così maestosa personalità non si può che provare grande soggezione. Sentire il suo contatto fu qualcosa di straordinaria emozione, penso non ci sia parola che possa descrivere lo stato d’animo in cui mi trovai in quel preciso istante che, se permettete, vorrei tenere tutto per me.

Affrontai il viaggio di ritorno quasi in silenzio, immerso nelle mie riflessioni, estraniandomi dalla bellissima compagnia. Credevo che il giorno seguente la stanchezza mi avrebbe assalito. Invece, al contrario, trascorsi la giornata carico di serenità e di energia positiva.

Questo viaggio mi diede il coraggio per affrontare quelle che sono state le mie successive trasferte, perché volere è potere.

Vedete, non ebbi esitazioni quando in quel letto della Rianimazione, Peppino – il medico che sarebbe diventato un caro amico – mi comunicò che era giunto il momento di procedere all’intervento chirurgico al livello della trachea, necessario per collegare il ventilatore e assicurare il passaggio per l’aria destinata ai polmoni. Acconsentendo con un sorriso appena accennato e con un leggero movimento della testa.

Dicendo sì alla tracheostomia non decisi solo di vivere ma di

vivere la vita,

seppur con tutte le ulteriori difficoltà che avrei consapevolmente incontrato, compresa quella di comunicare con il movimento delle labbra e il residuo filo sottilissimo di voce.

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