GROTTAMMARE – Sono iniziate ieri sera, giovedì 2 marzo, presso la parrocchia Madonna della Speranza gli incontri con don Cristiano Mauri sulle orme di Giona.
Di seguito riportiamo la riflessione di don Cristiano.

“Chi è Giona Ben Amittai? Il nome viene preso dal profeta non scrittore che sotto il re Geroboamo II (782-753) sostenne l’espansione di Israele contro gli Assiri. Non è un dettaglio, perché il re in questione fu valutato molto
negativamente e nonostante ciò fu “usato” da Dio per liberare il popolo. Come a dire: “Se non c’è di meglio…” e il rimando alla vicenda di Giona coi Niniviti è evidente. Uno di quei profeti dell’Israele dal forte orgoglio nazionalistico e religioso, arrogante, autoreferenziale e sordo alla guida divina. Contro quel profetismo espansionistico si scagliò il profeta Amos, la cui critica fa da sfondo tematico al libro. A completare il retroterra teologico vanno le influenze della predicazione di Geremia con il tema dell’apertura alle genti e della teologia della conversione che nel racconto appaiono palesemente.
Il significato del nome a sua volta non è casuale. Significa letteralmente «Colomba figlio delle Mie Fedeltà», meglio traducibile con «Colomba, figlio Mio che sono il Fedele», essendo il patronimico riferito a Dio.
Il riferimento simbolico alla colomba va colto in Os 7, 8-12; 11, 11-12. Passi in cui il popolo di Israele, paragonato al volatile, viene descritto come sciocco, capriccioso e incapace di restare fedele a Dio. A Giona-Colomba va dunque attribuita la stessa insipienza del popolo di Israele, che dietro di lui fa capolino.
Si tratta dunque di un anti-profeta, un anti-eroe, un anti-Jahvè.

A quale epoca risale il testo e a quali destinatari fa riferimento?
Con sicurezza si può collocare il testo tra il 400 e il 200 a.C.
Rielaborando del materiale narrativo preesistente (forse preso da contesto culturale di Giaffa e del
suo porto) l’autore si pone nella linea critica di Gioele e del movimento apocalittico tardo-profetico che
sosteneva l’apertura ai pagani, attaccando l’esclusiva valorizzazione della Torà insieme all’eccessiva rilevanza della legge cultuale e della ritualità liturgica, pensate nella prospettiva di una comunità incontaminata e teocratica.
Se però nell’apocalittica il castigo incombe comunque sul mondo pagano, in Giona colui che è davvero compromesso è il profeta, simbolo di Israele (il racconto col suo approccio parodistico dà a tutti i personaggi degli elementi positivi, fuorché al profeta ribelle…)
Dunque l’autore del libretto intende sollecitare uno sguardo favorevole sul mondo, prendendo le distanze da un Israele legalista e ripiegato su di sé e invitando ad aderire alla compassione di Dio anche verso il male più radicale.

Quale genere letterario?
È un mashal, cioè una novella, una parabola che rilegge la figura del profeta di salvezza. La rilettura
è fatta in chiave satirica, con un largo uso della parodia – cioè il ribaltamento buffo degli elementi in
causa – con l’obiettivo di castigare ridendo mores, cioè ridicolizzare atteggiamenti sbagliati al fine di
ridimensionarli e correggerli.
Con le dovute precauzioni.

Maneggiare con cura
Il fatto che quello di Giona sia un racconto simpatico, carico di ironia e dai toni parodistici rischia di
farci guardare al nostro anti-profeta come a un personaggio da fumetto, la cui vicenda è giusto una
storiella buona per le recite dei bambini.
Lo spessore teologico del testo invece è molto alto e, come vedremo entrandovi in profondità,
davvero ricco, consolante e al tempo stesso provocante. Va dunque affrontato senza la fretta di
“cercare la morale della favola”, lasciandogli la possibilità di esprimersi per quel che è.

Eliminare le tossine
È bene liberarsi subito da interpretazioni infette della parabola del nostro profeta.
Bisogna aver chiaro che l’obiettivo della storia di Giona non è affatto l’elogio del volontarista, l’eroe
senza macchia e paura che non conosce dubbi, stanchezze, resistenze che deve esclusivamente
preoccuparsi di farsi utilizzare da Dio come, quanto, quando e per cosa ritiene di doverlo fare.
Ancora meno è destinata a pascolo dei moralisti, quelli che, col ditino sempre puntato, centonano
sentenze sul: «Certo così non si fa… L’obbedienza è virtù irrinunciabile… Se hai un dovere, compilo
senza troppe domande…»
È bene anche tenere nel fodero certi fatalismi, sul genere: «Volenti o nolenti la volontà di Dio si
compie… Certo che siamo liberi, ma di fare quel che Dio vuole… Su ognuno c’è un disegno e guai a
chi vi si oppone…»
Ci si guardi bene anche dal cedere a certi pedagogismi tutti umani che ben poco hanno a che
vedere con lo stile di Dio: «Qualche legnata a volte fa solo bene… Certe resistenze si piegano solo con
il bastone… Certe cose ti capitano perché ti sei ribellato a Dio…»
3. Dio non è quel che credi
Dio è sempre una sorpresa, non dimentichiamolo.
Tanto più quando, come in queste occasioni, ci disponiamo ad ascoltarLo.

Dalla parte del ricino
Proviamo a guardare la vicenda da una prospettiva particolare. Lo facciamo focalizzandoci su alcuni
dettagli e chiedendoci se essi possono aiutarci a leggere più proficuamente anche l’insieme.
Se è vero che i particolari tolti dal contesto possono essere fraintesi, è altrettanto vero che spesso
sono proprio essi a caratterizzare in modo marcato l’ambito in cui sono posti.
Ci mettiamo dalla parte del ricino che pare un elemento trascurabile nella vicenda, mentre invece
rappresenta il punto di svolta del racconto.
«Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra
sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino.» (Gn
4, 6)

Dio.
Dio è chino su Giona, la sua attenzione è rivolta tutta a lui. Egli, dalla Sua altezza si piega sopra il
profeta come una madre al capezzale del figlio malato. Dio sembra lì per il suo profeta e soltanto per
lui.
Non si limita semplicemente a stare accanto a Giona, si dà invece da fare perché il male che lo ha
colpito non abbia la meglio. L’offrire un po’ di ombra è il segno discreto dell’attenzione che Dio riserva
al benessere del profeta.
La volontà del Signore è la completa guarigione, che viene descritta come una liberazione, quasi
che Giona fosse incatenato a qualcosa o intrappolato da qualche parte, non libero di muoversi e di
agire in modo naturale.
La malattia che ha colpito l’inviato di Dio costituisce una prigionia. Quale origine ha? Certo non viene
da Dio, visto il Suo impegno per la guarigione. Ne è responsabile Giona? Non si sa, ma agli occhi di Dio
sembra non contare.
Conta che Giona non è libero di essere, agire, fare, parlare come potrebbe e come dovrebbe. Come
ogni prigionia, anche la sua è disumanizzante.
È immediato pensare che il suo atteggiamento da non-profeta sia l’esito dell’afflizione maligna. Il
bersaglio dell’intervento di Dio, più che la salute fisica del profeta è dunque un male di altra natura che
sembra averlo colpito.
L’azione di Dio è molto semplice ma simbolicamente potente: interviene dando a Giona ciò che lui
stesso stava cercando, ponendosi delicatamente ma palesemente nella posizione dell’alleato. Dio, con
compassione, si mette a servizio del profeta contribuendo alla sua completa guarigione/liberazione.
Vedremo nella terza meditazione in modo analitico la sostanza di questa azione divina.

Giona.
Sotto il ricino c’è un uomo piegato dal peso di un male misterioso. È ripiegato su di sé, sulla propria vicenda, sulle proprie aspettative disattese tutto preso dalla propria condizione di sofferente.
Per la goffaggine impacciata con cui si muove e reagisce, appare imbolsito e irrigidito come uno sportivo che, per un infortunio, ha conosciuto una pesante involuzione. Gli abitanti di Ninive nel loro reagire prontamente alla chiamata di Dio costituiscono un impietoso termine di paragone per il nostro profeta il quale reagisce con acida invidia.
Come un atleta che non riesce più a esprimersi ad alti livelli, Giona sembra, fin qui, l’uomo delle passioni tristi: risentimento, diffidenza, rabbia, desiderio di vendetta, vittimismo, complesso di persecuzione, invidia, presunzione da senso di inferiorità…
L’insensibilità, l’ostinata chiusura e la totale assenza di compassione dimostrate lungo il viaggio sono la diretta conseguenza di un animo intriso di negatività: le passioni tristi lo hanno disumanizzato.
Effettivamente sembra aver smarrito se stesso nella sua identità propria di «voce di Dio»: mostrarne il volto paziente non è più nelle sue corde.
Sotto al ricino Giona viene preso da grande gioia. C’è una forte dose di ironia in questa enorme felicità per una piccola pianta se messa a confronto con la resistenza taciturna dell’inizio, con l’asciuttezza dura della predicazione ai niniviti e con lo sdegno provato dopo la conversione.
Buffo è il fatto che questo è il primo sentimento positivo in tutto il racconto da parte di Giona. È vero, è felice soprattutto per sé e questo dimostra un forte ripiegamento da parte di uno che dovrebbe essere, per vocazione, proiettato sull’altro.
D’altra parte non si può negare che, con il ricino, Giona, sembra interessarsi finalmente a qualcuno o qualcosa, mentre fin lì sembrava rinchiuso in uno spaventoso auto-isolamento. Nelle vene gelide del nostro profeta torna a scorrere un filo di compassione e le fibre del suo cuore tornano a battere di un poco di pietà.
Approfondiremo nella seconda meditazione le ragioni e i contenuti della patologia di Giona, intuendo già da subito, però, che nel suo cuore aveva messo radice un profondo e feroce risentimento, che aveva oscurato in lui i tratti della misericordia divina e dell’umana solidarietà. Il gesto di attenzione di Dio apre una crepa nella cella di isolamento del suo inviato che torna a vedere la luce.

Il «piano di Dio».
Di chi si occupa e preoccupa Dio? Forse un popolo pagano a cui inviare a tutti i costi un profeta  neghittoso? Chi sta al centro dell’attenzione del Signore? Una città straniera e nemica dell’Israele da salvare perfino sacrificando un inviato divino? Cosa rappresenta Giona agli occhi di Dio? Uno strumento da piegare ai suoi scopi, utile solo al compimento dei suoi progetti?
Contemplare Giona sotto il ricino ci fa guardare alla sua vicenda con uno sguardo completamente diverso. Ninive e i suoi abitanti sono certo importanti, eppure, colui che è considerato da Dio come un oggetto prezioso di cui aver cura è proprio il profeta. Quello che non riconosce più negli occhi del suo Dio quello sguardo di pietà e che si rifiuta di applicarlo, a sua volta, a qualsivoglia creatura. Almeno fino al ricino.
Questa prospettiva getta una luce particolare su tutta la vicenda, a partire dal comando iniziale e dalla sua ripetizione, fino a tutti gli altri interventi divini, che non appaiono più dunque come la tecnica messa in atto da Dio per sfruttare Giona a proprio uso e consumo, bensì come un’azione costante diretta a guarire il profeta.
Lo smarrimento umano e di fede del figlio di Amittai, la perdita della sua identità profetica nell’incapacità di ripresentare i tratti misericordiosi del Signore sono l’obiettivo dell’azione terapeutica divina.

Non ci troviamo di fronte a un Signore dispotico che intende farsi comunque obbedire dal suo servo,
piuttosto a un innamorato che ama il suo amato con il desiderio che il loro cuore sia uno solo.
L’amore con cui Dio si dedica a Giona, nello stesso momento in cui lui non solo il profeta lo fugge,
ma gli si oppone, ne deforma il volto, tenta di ferirlo se non di colpirlo mortalmente, è sconcertante nella
sua forza e nella sua virtù terapeutica.
La chiamata di Dio, dunque, non sembra essere un banale contratto di collaborazione, bensì una
proposta di matrimonio. Se c’è un compito da svolgere, è solo il modo con cui entrare nel movimento
d’amore di Dio e unirsi ad esso esistenzialmente.
Pur di salvare il profeta, Dio sembra mettere tra parentesi la violazione di una quantità di principi
commessa dal suo inviato. Il compimento della Sua volontà non dovrebbe conoscere intoppi e il
comportamento di Giona andrebbe sanzionato. Ma in effetti la volontà di Dio si compie davvero: è la
guarigione del suo profeta.
Dio non condanna ma salva, non punisce ma solleva, non uccide ma dà la vita. È così che anche la
conversione dei niniviti assume una luce particolare: nell’invitarli ad abbandonare le loro opere malvagie,
Dio non è un moralista scandalizzato da certi comportamenti, preoccupato solo di contenerli; piuttosto
un famigliare sofferente per la cattiva salute dei suoi congiunti.
Mentre siamo abituati a pensare che gli uomini debbano essere a servizio della storia che Dio scrive,
dal racconto di Giona appare l’esatto opposto: la storia che Dio scrive è il suo essere a servizio di coloro
che Egli ama. La sua non è una regia a distanza, ma un coinvolgimento diretto: Dio si impasta nelle
vicende umane con un impegno costante, non certo episodico.

Esercizi di disintossicazione.
Leggere la storia.
Siamo spesso abituati a pensare la presenza di Dio nella nostra vita come occasionale. Certo, Lo
crediamo vicino, ma sostanzialmente tendiamo a pensare che lo faccia «al bisogno», in momenti
particolari, belli o drammatici, con interventi al momento opportuno, con supporti e aiuti quando
occorrono, etc… La vicenda di Giona, con la molteplicità di interventi divini, ci invita a considerare Dio
come misteriosamente intrecciato alle nostre vite.
Il nostro percorso di maturazione umana, spirituale, professionale, affettiva è un ambito fecondo per
coglierLo all’opera. Contemplala in un clima di preghiera.

Pensieri e parole.
Modi di esprimersi e di pensare abituali – quelli che mettiamo in atto senza troppo pensarci – rivelano
di cosa è fatto il nostro cuore. È bene confrontarli con lo stile di Dio visto nei rapporti con Giona. Valuta
ad esempio come reagisci interiormente ed esteriormente di fronte a: chi non rispetta i patti, chi ha
comportamenti problematici, chi arriva in ritardo, chi non fa un lavoro come te lo aspetti, chi ha un
atteggiamento scostante, chi si isola, chi contrasta un obiettivo comune, chi non dà il suo contributo,
chi è lamentoso…

La dedizione.
Dedicarsi a qualcuno o a qualcosa con costanza, pazienza, umiltà è un ottimo esercizio ascetico
che ci libera da noi stessi e ci mette in contatto con il cuore di Dio. Buono per tutta la Quaresima”.

Questa sera, venerdì 3 Marzo, alle ore 21.15 si terrà il secondo appuntamento con Don Cristiano Mauri

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