DIOCESI – “Celebriamo oggi la presentazione di Gesù al tempio. Secondo la legge dell’Antico Testamento, Maria e Giuseppe, obbedienti, portano Gesù il figlio primogenito al tempio. Dice infatti il Vangelo: “portarono il bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge del Signore”(Lc 2, 22).”

Lo ha affermato giovedì 2 febbraio il Vescovo di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, Mons. Carlo Bresciani, presiedendo nel Santuario dell’Adorazione dei padri Sacramentini, la celebrazione in occasione “ella “presentazione di Gesù al tempio” e della “Giornata per la Vita Consacrata

Mons. Bresciani: “Dobbiamo chiederci: quale è il significato di un tale gesto richiesto dalla legge?
Se Gesù vi si sottomette con piena obbedienza significa che Egli stesso vuole, con tale gesto, comunicarci una verità di fede: tutto Egli ha ricevuto dal Padre e si dispone a donare tutta la sua vita secondo la missione che ha ricevuto da Lui. Ogni vita viene da Dio, è suo dono. Questo Maria e Giuseppe riconoscono e per questo portano Gesù al tempio. Anche il riscatto del primogenito con due colombe sta a significare che la vita del figlio è ricevuta da Dio, non è proprietà dei genitori e, se è così, non sono i genitori che ne possono disporre come vogliono.

Ma in questo gesto è racchiuso il riconoscimento di un’altra verità fondamentale: se la vita è dono di Dio, allora la nostra stessa vita è dono di Dio. La vita di ogni essere umano è dono di Dio e non è proprietà di nessuno. Qui sta il vero fondamento della nostra libertà.

La vita ci è solo affidata e a Lui dobbiamo portarla. In ciò che Maria e Giuseppe fanno c’è, quindi, un insegnamento per ogni genitore e un insegnamento per la vita di ciascuno di noi: mettere la vita davanti a Dio in rendimento di grazie per averla ricevuta è il primo atto che dobbiamo compiere per coglierne tutto il suo valore e per viverla in piena libertà.

Se la vita è dono di Dio, essa porta in sé anche una vocazione a riconoscerlo come Padre e a vivere da figlio suo. Ogni vita umana porta in sé questa vocazione che sta alla sua origine: chiamati a riconoscere il Padre e a vivere da figli. Qui sta il fondamento di ogni vocazione, anche quella di speciale consacrazione, cui in modo particolare è legata la festa liturgica di oggi.

Gesù è presentato al tempio; Maria e Giuseppe lo consegnano a Dio, e Gesù, Maria e Giuseppe ricevono per la prima volta da Simeone e da Anna la rivelazione della vocazione-missione che il Padre ha affidato loro. Solo quando riconosciamo la paternità di Dio e ci riconosciamo figli scopriamo la nostra personale vocazione: se la vita è dono, essa non può trovare compimento se non nel dono. Se essa è dono di amore, il suo compimento non può che essere in un dono di amore. Ecco la vocazione fondamentale di ogni essere umano, che il cristiano trova rivelato in Gesù. Dentro questa vocazione fondamentale, pena l’inautenticità della vita stessa, ognuno di noi deve scoprire la modalità propria di viverla: nella vita consacrata, nel matrimonio o nel celibato. Tutti siamo chiamati ad essere perseveranti nel dono di noi stessi per essere segno dell’amore del Padre, verso la comunità cristiana e verso le persone che incontriamo o con le quali condividiamo la vita nella casa religiosa o nella famniglia.

Non povertà di amore deve guidare le scelte di vita: non è qui che sta la possibilità di dare ad essa il suo pieno valore e significato. Non la sclerosi del cuore, ma il cuore trafitto di amore, come quello che Simeone predice a Maria e che, in certo modo, a sua volta, predice il cuore trafitto di Gesù sulla croce.

La vocazione alla consacrazione religiosa è risposta di amore, desiderio di spendersi per amore di Dio, donandosi alla comunità di fede e ai suoi bisogni, a imitazione di Gesù che in unità di amore con il Padre dona la sua vita “per la redenzione di molti”. Mi piace vedere il collegamento con la benedizione delle candele, che la tradizione ci ha trasmesso, non solo nel richiamo alle parole del profeta Simeone (“Luce per illuminare le genti” riferendosi a Gesù), ma anche nel fatto che, come la candela spande la sua luce e illumina l’ambiente circostante (un tempo era l’unica fonte di luce nella notte), così una vita vissuta come risposta d’amore è luce che illumina e riscalda i cuori sempre tentati da sclerocardia.

«Il “sì” totale e generoso di una vita donata è simile ad una sorgente d’acqua, nascosta da tanto tempo nelle profondità della terra, che attende di sgorgare e scorrere all’esterno, in un rivolo di purezza e freschezza» (Papa Francesco, Ai partecipanti al Convegno promosso dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale delle Vocazioni, 5-1-2017).

Cari religiosi e religiose, non preoccupatevi tanto del calo numerico, che pur giustamente desta qualche difficoltà e preoccupazione, quanto di tenere viva la fiamma dell’amore che lo Spirito santo ha effuso nei vostri santi fondatori. Imitate Gesù che si offre al Padre in un totale abbandono e, così facendo, anticipa quello della sua passione e crocifissione; imitate Maria e Giuseppe, che manifestano la loro totale obbedienza al volere di Dio, unendosi all’offerta del Figlio Gesù.

Come Maria e Giuseppe, anche noi siamo chiamati ad offrire tutto, come sacrificio spirituale, a Dio: i nostri pensieri e le nostre opere.
Il Signore ci conceda, con la forza del pane eucaristico, di camminare incontro a Lui per possedere la vita eterna, fine ultimo di quella vita che da Lui abbiamo ricevuto e che a Lui abbiamo consacrato nella professione dei voti religiosi di povertà, castità e obbedienza”.

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