Persone Papa3M.Michela Nicolais

Sperare è imparare a vivere nell’attesa”. Come fa una donna incinta, che “ogni giorno impara a vivere nell’attesa di vedere lo sguardo di quel bambino che verrà”. O come il povero, che a differenza del ricco “sa attendere”: perché “chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la propria fiducia in nessun altro se non in sé stesso”. È la catechesi del Papa, dedicata all’“elmo” della speranza, che spazza via la paura della morte e ci fa dire, come San Paolo e prima ancora come Giobbe: “Per sempre saremo con il Signore”.

“Noi cristiani siamo donne e uomini di speranza”,

esordisce il Papa a braccio, rivolgendosi ai 6mila fedeli presenti in Aula Paolo VI. Il brano di riferimento è la lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, indirizzata ad “una comunità giovane, fondata da poco, eppure, nonostante le difficoltà e le tante prove, radicata nella fede”.

“Tutti abbiamo un po’ di paura della morte”,

dice il Papa a braccio, che sempre fuori testo cita le parole di “un vecchietto, bravo, che diceva: ‘Io non ho paura della morte, ho un po’ di paura a vederla venire’”. La difficoltà della comunità di Tessalonica “non era tanto di riconoscere la risurrezione di Gesù – tutti ci credevano – ma di credere nella risurrezione dei morti”. Anche oggi, “ogni volta che ci troviamo di fronte alla nostra morte, o a quella di una persona cara, sentiamo che la nostra fede viene messa alla prova. Emergono tutti i nostri dubbi, tutta la nostra fragilità, e ci chiediamo: ‘Davvero ci sarà la vita dopo la morte? Potrò ancora vedere e riabbracciare le persone che ho amato?’”. “Questa domanda me l’ha fatta una signora pochi giorni fa in un’udienza: incontrerò i miei?”, la testimonianza del Papa, secondo il quale “anche noi, nel contesto attuale, abbiamo bisogno di ritornare alla radice e alle fondamenta della nostra fede, così da prendere coscienza di quanto Dio ha operato per noi in Cristo Gesù. E cosa significa la nostra morte”.

“Avere la certezza che io sono in cammino verso qualcosa che è, non che io voglio che sia”.

È la definizione di speranza, offerta a braccio ai fedeli. “È un elmo. Ecco cos’è la speranza cristiana”. Non è “qualcosa di bello che desideriamo, ma che può realizzarsi oppure no; qualcosa che speriamo, come un desiderio”, come quando diciamo: “Speriamo che domani faccia bel tempo”. “La speranza cristiana non è così”, è “l’attesa di qualcosa che già è stato compiuto”. “C’è la porta, lì, e io spero di arrivare alla porta. Che cosa devo fare? Camminare verso la porta! Sono sicuro che arriverà alla porta”, l’esempio ancora fuori testo. “Anche la nostra risurrezione e quella dei cari defunti – il commento di Francesco –non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa, in quanto radicata nell’evento della risurrezione di Cristo”.

“Sperare significa imparare a vivere nell’attesa”.

Lo ripete più volte, il Papa, nella parte finale della catechesi. “Quando una donna si accorge che è incinta – spiega sempre fuori testo – ogni giorno impara a vivere nell’attesa di vedere lo sguardo di quel bambino che verrà”. “Anche noi dobbiamo imparare da queste attese umane e vivere nell’attesa di guardare il Signore, di incontrare il Signore. Questo non è facile, ma si impara: vivere nell’attesa”. “Sperare significa e implica un cuore umile, un cuore povero”, precisa Francesco: “Solo un povero sa attendere. Chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la propria fiducia in nessun altro se non in sé stesso”.

“Una cosa che a me tocca tanto il cuore – rivela – è un’espressione di san Paolo, sempre rivolta ai Tessalonicesi: a me riempie della sicurezza della speranza. Dice così: ‘E così per sempre saremo con il Signore’”. “Una cosa bella!”, il commento di Francesco a braccio: “Tutto passa, ma dopo la morte per sempre saremo con il Signore. È la certezza totale della speranza, la stessa che, molto tempo prima, faceva esclamare a Giobbe: ‘Io so che il mio redentore è vivo. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno. E così per sempre saremo con il Signore’”. “Vi domando: credete questo?”, chiede il Papa ai presenti, concludendo la catechesi ancora una volta fuori testo: “Vi invito a dirlo tre volte con me”, l’esortazione a cui i 6mila dell’Aula Paolo VI prontamente obbediscono:

“E così per sempre saremo con il Signore”. “E là, col Signore, ci incontreremo”, il congedo del Papa.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *