ItaliaDi Gigliola Alfaro

Una foto postata su Facebook immortala malati soccorsi a terra nell’ospedale di Nola. Immediate le polemiche, a cui sono seguite la sospensione dei medici responsabili e reazioni diverse: chi difende i sanitari che si sono prodigati per curare i pazienti, malgrado le difficoltà, e chi attacca una sanità regionale che funziona male. Non a caso, la Campania è una delle Regioni commissariate proprio per il deficit sanitario. Ma qual è la situazione in Italia rispetto a un tema, la salute, che tocca da vicino la vita dei cittadini?

“Quanto accaduto all’Ospedale Santa Maria della Pietà di Nola mette in luce le doti di professionalità e umanità del personale sanitario che, anche nelle condizioni più avverse, adempie al dovere deontologico di prestare assistenza sanitaria, sempre, comunque e dovunque”. A parlare è Francesco Bevere, direttore generale di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), per il quale “l’episodio mette in luce una delle più grandi criticità degli ultimi anni e, cioè, la difficoltà per molte Regioni di riorganizzare e di investire sull’assistenza territoriale”.

Secondo Bevere, “è arrivato il momento di dedicarsi definitivamente a rendere omogeneo il modello attraverso il quale i medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali del territorio devono garantire il raccordo tra i bisogni del cittadino verso l’ospedale e i bisogni di cura che seguono le dimissioni dall’ospedale, garantendo così la continuità assistenziale.

L’assenza di questa cerniera continuerà a determinare afflussi impropri presso i settori di emergenza ospedaliera, come accaduto nel caso di Nola”. La “strada maestra” è stata indicata dal “Patto per la salute 2014-2016” e dal “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”, che “disegnano un nuovo modello organizzativo dell’assistenza, fondato sulla costruzione di tre pilastri:potenziamento delle attività sul territorio, realizzazione di una rete ospedaliera dedicata alle patologie complesse e sviluppo del servizio unico di emergenza-urgenza territoriale, in grado di affrontare le emergenze anche sul territorio e di realizzare una reale continuità dell’assistenza”.

Proprio, in questo contesto, l’Agenas ha già avviato un percorso di revisione delle reti clinico-assistenziali, che integrano le attività ospedaliere con quelle territoriali. “L’impegno deve allora essere quello di rivedere la rete dei servizi territoriali”, ma

“lo sforzo che viene chiesto alle Regioni e al personale sanitario non è soltanto organizzativo, ma anche di cambiamento culturale”.

Non si può negare, per Americo Cicchetti, uno degli autori del Rapporto Osservasalute e direttore dell’Alta Scuola di economia e management sanitario dell’Università Cattolica, che “la situazione sanitaria delle Regioni italiane presenti luci e ombre.Alcune Regioni, prevalentemente del Centro-Sud, si trovano oggi nel piano di rientro dal deficit, ovvero in una situazione di controllo, monitoraggio, commissariamento perché la loro sanità non è giudicata dal ministero della Salute adeguata dal punto di vista economico-finanziario e della capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini”.Attualmente, ricorda Cicchetti, “le Regioni inserite nel piano di rientro dal deficit sono Lazio, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia. La Regione Abruzzo, pur essendo appena uscita dal piano di rientro dal deficit, è ancora commissariata. Ci sono anche altre due Regioni che sono sotto monitoraggio: la Sardegna e la Liguria, anche se non sono tecnicamente nel piano di rientro”.Nel Centro-Sud, con l’eccezione della Basilicata, “la sanità fatica ancora; mentre nel Centro-Nord, a partire dall’Umbria fino al Trentino Alto Adige, la sanità, sia da un punto di vista economico sia da quello dei risultati, risponde alle esigenze dei cittadini”.

In generale, “la sanità fatica perché con la crisi economica la quantità di risorse non cresce come dovrebbe in considerazione dell’aumento delle esigenze dei cittadini e l’avanzare dell’età media”. Non solo:

“I problemi economici hanno una ricaduta su quelli organizzativi.

Le Regioni inserite nel piano di rientro hanno dovuto adottare un blocco del turn over del personale. Questo vuol dire che quando le persone vanno in pensione, non vengono reintegrate al 100% ma solo una quota. Ciò chiaramente impatta sulla disponibilità numerica e sull’età media del personale”. C’è un altro aspetto da considerare:

“Soprattutto le Regioni nel piano di rientro sono chiamate a ristrutturare la loro rete ospedaliera, con riduzione di posti letto e chiusura di presidi.

Questo non vuol dire necessariamente meno servizi perché gli ospedali che sono stati chiusi, ad esempio in Abruzzo, erano piccoli. E le strutture piccole, che fanno pochi interventi, diventano anche pericolose”. Inevitabilmente, però, “quando chiudi un ospedale, anche se non efficientissimo, c’è qualche contraccolpo sulla disponibilità dei servizi.

La riorganizzazione prevede la riduzione dei posti letto e la chiusura di alcuni presidi ospedalieri e la loro successiva riconversione in strutture territoriali. In qualche caso la chiusura c’è stata, mentre le strutture territoriali fanno ancora fatica a essere organizzate, come in Campania e in Puglia.

Non c’è stato, ad esempio, un investimento sull’assistenza domiciliare integrata. In molte Regioni del Centro-Sud, come la Calabria, la Campania, il Molise, la percentuale di persone sopra i 65 anni che avrebbero bisogno di un’assistenza domiciliare e che ne usufruiscono è ben al di sotto della media rispetto agli standard.

Se non c’è la famiglia che sostiene l’anziano diventa un problema”.

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