HebronDi Daniele Rocchi

Ragazzini palestinesi abbattuti, schiaffeggiati, segregati per ore, molestati e intimoriti fino al punto di farsi la pipì addosso. Piccoli ma abbastanza grandi da essere ritenuti “fiancheggiatori dei terroristi”. Adulti picchiati, umiliati, bendati, ammanettati, tirate di capelli, di unghie. E ancora confische di terra, demolizioni di case, arresti arbitrari e blitz notturni. È l’occupazione militare israeliana raccontata, non dalle vittime, ma dagli stessi soldati dell’Idf (Israel defense forces) che hanno svolto il servizio militare nelle zone dei Territori Occupati, di Gaza e di Gerusalemme Est a partire dalla seconda Intifada (2000). Come Yehuda Shaul, co-fondatore e co-direttore, insieme a due suoi commilitoni, Avichai Sharon e Noam Chayut, dell’ong israeliana “Breaking the Silence” (in ebraico Shovrim Shtika).

Oltre 1.100 testimonianze. Dal 2004 l’obiettivo di Shaul e della sua organizzazione è quello di far conoscere ciò che accade nei Territori Occupati, la routine dell’occupazione militare, o peggio “la norma”, di sensibilizzare l’opinione pubblica israeliana sugli abusi che vengono compiuti ai danni dei palestinesi e di dare la possibilità ai soldati, dopo la fine del servizio militare di “raccontare la distanza tra la realtà che si sono trovati ad affrontare e il silenzio che incontrano una volta tornati a casa”. Una realtà che, spiega al Sir Shaul, “difficilmente trova spazio nei media.

Fino ad oggi sono oltre 1.100 gli ex militari, uomini e donne, che hanno testimoniato le loro esperienze nell’esercito sollevando polemiche e un aspro dibattito pubblico.

La maggior parte della società israeliana – sottolinea il veterano di origini nordamericane – non gradisce ciò che facciamo”. Tra le accuse più pesanti quella di delegittimare l’operato delle forze armate. “C’è anche chi ci sostiene come testimoniano le numerosissime conferenze, incontri ed eventi che, come ong, teniamo un po’ ovunque.

Denunciare l’immoralità che sta prendendo piede nel nostro sistema militare non è una sfida facile ma bisogna affrontarla. Ne va del futuro della nostra nazione”.

L’incontro con Hlc. Shaul ha servito nell’Idf come sergente dal 2001 al 2004, in Cisgiordania e Gaza, e oggi si dedica a tempo pieno alla sua Ong. È anche per questo motivo che il 16 gennaio ha guidato il Coordinamento dei vescovi per la Terra Santa (Hlc) a Hebron, l’unica città palestinese che ha nel suo centro un insediamento ebraico di poche centinaia di coloni.

Vescovi Hlc a Hebron (16 gennaio 2017)

Per proteggerlo l’esercito israeliano ha posto delle severe restrizioni di movimento a decine di migliaia di palestinesi. Restrizioni che hanno decretato la fine dell’antico centro della città, dei suoi negozi, delle sue strade, con intere famiglie palestinesi costrette ad abbandonare le loro case. Ripercorrendo la storia della città, il co-fondatore di “Breaking the silence” ha fornito i numeri dell’occupazione: in quella che era la zona centrale di Hebron 1.014 appartamenti sono stati abbandonati dai loro occupanti, ben 659 quelli lasciati durante la seconda Intifada. 1.829 negozi (il 77% del totale della zona) sono stati chiusi. Di questi almeno 440 per ordine delle autorità militari israeliane. Non è in discussione il diritto di Israele a esistere e difendersi quanto “l’uso della difesa come attacco che lascia campo aperto a violazioni continue”.

“Anche un solo giorno è troppo”. Il 2017 segna il 50° anniversario dell’occupazione militare israeliana, dopo la Guerra dei Sei giorni (5-10 giugno 1967), della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Un conflitto ancora aperto che nessuno, comunità internazionale in testa, è riuscito a chiudere. Yehuda Shaul a riguardo ha le idee chiare.

“Il futuro di Israele e Palestina è tutto nelle nostre mani.

Se non facciamo nulla non ci sarà nessuna soluzione. Al contrario se faremo qualcosa, credo che l’occupazione potrà finire e con essa il conflitto. Rompere il muro del silenzio è un passo in avanti.

Sono israeliano, non lotto contro i palestinesi ma contro l’occupazione

e con tutto quello che comporta. Voglio che l’occupazione finisca. Sono 50 anni che dura. Anche un solo giorno è troppo”.

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