Di Simone Incicco

DIOCESI – “Sostenerci con la preghiera affinché ricostruiamo i cuori ancor prima delle case”: è la preghiera che Raffaele e Iole Festa, famiglia terremotata di Cascello, una piccola frazione di Amatrice (Rieti), ha rivolto a Papa Francesco nel corso dell’udienza concessa alle popolazioni terremotate del Centro Italia. Raffaele e Iole, insieme ai loro due figli, Leonardo e Lavinia, hanno portato la loro testimonianza al Pontefice, rievocando quella notte del 24 agosto, “quando il terremoto ha cambiato ogni cosa. Ricordo la scossa che, in quegli interminabili secondi, nel cuore della notte ha fatto tremare tutti e tutto.
In un primo momento io e mia moglie ci siamo subito abbracciati ma, appena razionalizzato che era stato il terremoto a svegliarci, al buio e senza pensarci troppo siamo andati a tirare fuori dalla camera i bambini per uscire da casa”.
Poi la fuga in strada, aprendo il portone bloccato dalle pietre cadute.
Le grida dei vicini, ancora intrappolati in casa mi hanno fatto lasciare mio figlio in braccio a non so chi per soccorrere una famiglia che aveva casa col soffitto crollato – ha proseguito Festa – successivamente mi sono diretto al furgone da lavoro e rimediare qualche attrezzo per tagliare il ferro e liberare una seconda famiglia intrappolata in casa. La mano di Qualcuno mi ha guidato nel trovare subito il necessario ed aiutare i vicini, ormai in preda al panico”. “Da quel giorno – ha poi concluso – la nostra vita certamente non è più la stessa. La casa dei nostri sogni è ormai demolita, ma la nostra vita è salva! Tuttavia, la fortuna di essere usciti vivi da quell’inferno non potrà mai cancellare il dolore di aver perso tanti amici. Chiediamo a Lei, Santità, di sostenerci con la preghiera affinché ricostruiamo i cuori ancor prima delle case”.

Grazie, Santo Padre, per aver desiderato incontrarci e per averci accolti nella Sua casa. Questo luogo mi piace chiamarlo così perché per noi che abbiamo perduto le nostre case, questa parola ha il sapore della nostalgia e insieme quello della speranza nel futuro. Ci sentiamo radunati nella ‘sala grande’ della Sua casa. Grazie”. È iniziato così, con un “grazie” il saluto di don Luciano Avenati, parroco dell’abbazia di s. Eutizio (diocesi Spoleto-Norcia), a Papa Francesco. “Sono qui a testimoniare la sofferenza che ha fortemente segnato la gente del territorio in cui vivo, come anche gli altri territori di tutta la zona della Valnerina colpiti dal terremoto. Ma soprattutto voglio testimoniare la fortezza d’animo, il coraggio, la tenacia, e insieme la pazienza, la solidarietà nell’aiuto vicendevole della mia gente – ha aggiunto il parroco – e quindi la fede che trova in questi atteggiamenti l’espressione di una grande umanità.
Devo dire dunque che sono orgoglioso della mia gente. E se io sono stato un sostegno per loro, loro sono stati la mia forza”. Nelle parole del sacerdote è emerso tutto l’amore della gente terremotate per la propria terra, quell’amore, ha spiegato, che “ci ha fatto rimanere anche quando ci è stato proposto di vivere l’emergenza altrove. La nostra terra si sarebbe sentita ferita ancora di più, e questa volta non dal terremoto ma da noi”.

Persone PapaVigili9“Ho voluto prendere le vostre parole per farle mie, perché nella vostra situazione il peggio che si può fare è fare un sermone”.  Con queste parole il Papa ha riassunto il suo discorso, durato poco più di un quarto d’ora e pronunciato interamente a braccio, e impostato come “risonanza” delle due testimonianze ascoltate poco prima. “Ho voluto soltanto prendere quello che dice il vostro cuore, farlo proprio e dirlo con voi e fare poi una riflessione su questo”, ha spiegato il Papa al termine del suo discorso.
E ancora: “Voi sapete che vi sono vicino. Vi dico una cosa: quando mi sono accorto di quello che era accaduto quella mattina –  appena svegliato ho trovato un biglietto dove si parlava delle due scosse –  due cose ho sentito: ci devo andare e poi ho sentito dolore. E con questo dolore sono andato a celebrare la Messa da solo”. “Grazie per essere venuti e in alcune udienze di questi mesi”, l’omaggio di Francesco: “Grazie di tutto quello che voi avete fatto per aiutarci, per ricostruire i cuori, le case, il tessuto sociale, anche per ricostruire col vostro esempio l’egoismo del nostro cuore, di tutti noi che non abbiamo sofferto questo. Grazie tanto a voi, vi sono vicino”. Infine il Papa ha ringraziato i vigili del fuoco, i volontari della protezione civile, i sindaci, le autorità e “anche tutti quelli che si sono immischiati nel dolore vostro: tutti”.

“Ricostruire i cuori” non vuol dire “domani sarà meglio, non è ottimismo”:  “non c’è posto per l’ottimismo qui, per la speranza sì, ma non per l’ottimismo, perché l’ottimismo è un atteggiamento che serve un po’ un momento, ti porta avanti, ma non ha sostanza. Oggi serve la speranza per ricostruire, e questo si fa con le mani”, ha proseguito Francesco citando la testimonianza di Raffaele  Festa, che “ha parlato delle mani, del primo abbraccio a sua moglie, poi di quando ha preso i bambini per tirarli fuori dalla casa. Le mani.
Quelle mani che aiutano i familiari a liberarsi dai calcinacci. Quella mano di chi lascia il proprio figlio nelle mani di non so chi per andare ad aiutare un altro”. “Per ricostruire ci vogliono il cuore e le mani, le nostre mani, le mani di tutti”, l’invito del Papa: “Le mani con le quali diciamo che Dio, come un artigiano, ha fatto il mondo; le mani che guariscono. A me piace agli infermieri, ai medici benedire le mani, perché servono per guarire. Le mani di tanta gente che vi ha aiutato a uscire da questo incubo, da questo dolore. Le mani dei vigili del fuoco, tanto bravi. Le mani di tutti quelli che hanno detto: ‘io do il meglio’, la mano di Dio”.

Il presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli ha così commentato: “grazie a Papa Francesco. Il 2017 sarà molto impegnativo perché la ricostruzione non è più semplice dell’emergenza, anzi, i cittadini nel tempo sono sempre più provati da quello che è successo e quindi serve ancora più energia per restituire serenità e forza alla nostra comunità. Il messaggio del papa, l’accoglienza che ha riservato ai cittadini, alle popolazioni, alle istituzioni dei territori colpiti dal terremoto, è un atto di grandissima vicinanza che ci aiuta a tenere alto lo spirito e il cuore con cui affrontare quello che ci aspetta.
Il papa vuole essere vicino non solo a parole ma anche nei fatti con la propria presenza ieri a Roma tutti insieme e domani di nuovo nei territori colpiti dal sisma.
Questa iniezione di fiducia ci aiuterà nel duro lavoro che porteremo avanti nel rispetto delle responsabilità di ognuno. Eravamo insieme tutte le Regioni, con il commissario, con il direttore del dipartimento di protezione civile, i sindaci delle città delle quattro regioni colpite e tanti cittadini che ho visto salutare in lacrime il papa: una comunità che si è ritrovata in una giornata speciale”.

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