AsiaZenit di Federico Cenci

Come è consuetudine, il 26 dicembre il Papa ha ricordato i moderni Santo Stefano, coloro i quali sono perseguitati a motivo della propria fede cristiana.

Non ha esitato, il Pontefice, ad affermare che “i martiri di oggi sono in numero maggiore di quelli dei primi secoli”. In tante aree del pianeta, del resto, si protrae un’agonia che sembra essere senza soluzione di continuità.

Agonia che conosce Asia Bibi, ormai diventata suo malgrado un simbolo dell’intolleranza e della persecuzione nei confronti dei cristiani. Pachistana, madre di cinque figli, ha passato quest’anno il suo settimo Natale dietro le sbarre.

La vicenda è nota. Nel 2009 è stata accusata di aver commesso un atto blasfemo, offendendo Maometto nel corso di un diverbio con donne musulmane. Un anno più tardi, il Tribunale del distretto di Nankana l’ha condannata alla pena capitale. Il caso è stato poi preso in esame dall’Alta Corte di Lahore, che ha confermato la condanna a morte per Asia Bibi. Questo, nonostante la donna si sia sempre dichiarata innocente e malgrado sia stato provato che le sue accusatrici avevano rancori verso di lei.

I suoi avvocati hanno dunque presentato un appello, che è ora pendente presso la Corte Suprema del Pakistan. Il processo è stato costellato fin da subito di polemiche e rinvii. L’ultimo si è avuto il 13 ottobre scorso, quando si sarebbe dovuta tenere l’udienza definita.

L’anno che si chiude è stato ad alta tensione, con proteste di piazza da parte di integralisti islamici per chiedere l’esecuzione della pena capitale nei confronti di Asia Bibi e con le pressioni nei confronti dei suoi legali e dei giudici. Uno di questi ultimi, Iqbal Hamid-ur-Rehman, si è ritirato dalla giuria. Di qui l’ultimo rinvio del processo. Intanto la donna continua ad essere rinchiusa in una cella d’isolamento nel carcere di Multan.

Lodevole il suo approccio serafico e dignitoso a una situazione che assume contorni tragici e grotteschi. Come riferisce Vatican Insider, Asia Bibi ha celebrato il Natale durante la mezzora che le è stata concessa per incontrare i familiari. Una preghiera, la lettura di un passo della Bibbia, uno spuntino da mangiare insieme. E poi il commiato, nella speranza di poter ottenere un giorno la libertà.

“Vorrei solo dire che non odio nessuno”, le parole della donna riportate da Vatican Insider. Intanto un lume di candela, che rappresenta una speranza per il destino di Asia Bibi, lo hanno acceso i migliaia di cristiani scesi nelle strade di Lahore il 18 dicembre.

Per la prima volta dopo anni, essi hanno potuto riprendere quella che era la tradizionale marcia natalizia. “Abbiamo avuto solo garanzie riguardo la sicurezza – spiega il vescovo anglicano Samuel Azariah -. Appena tre vigili ci hanno aiutato, ma ringraziamo le autorità per avere contribuito alla ripresa di una tradizione che era stata sospesa per la minaccia terroristica”.

In Pakistan i cristiani, che rappresentano appena l’1,6% della popolazione, sono costantemente nel mirino dei fondamentalisti islamici e persino delle autorità. Quest’anno nella domenica di Pasqua un attacco in un parco pubblico di Lahore ha provocato 75 morti e 340 feriti, in gran parte donne e bambini.

Diversi analisti hanno interpretato quel truce atto terroristico come un segnale nei confronti del Governo, ultimamente resosi disponibile a rivedere la legge sulla blasfemia. Amnesty International ha recentemente rilevato che questa norma è spesso usata per colpire le minoranze religiose, quando non in modo strumentale per rafforzare i gruppi di vigilantes intenzionati a minacciare o uccidere le persone accusate.

Attualmente in Pakistan, oltre ad Asia Bibi, sono 17 i condannati a morte per blasfemia rinchiusi nei bracci della morte. Decine di altri sono sotto processo.

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