GesùDIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 18 dicembre.

«Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele»: è l’annuncio che, più volte, risuona in questa quarta domenica di Avvento.
Lo ascoltiamo dal profeta Isaia nella prima lettura, mentre parla al re Acaz di un segno che il Signore darà alla casa di Davide.
Lo leggiamo nel Vangelo, a conferma di quanto l’angelo sta annunciando a Giuseppe, e di quanto lo stesso Giuseppe sta vivendo con la sua sposa Maria che «prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo».
Lo professa Paolo, nella seconda lettura, presentandosi ai Romani come apostolo di quel «Cristo Gesù […] nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza».
Ricapitolando: un annuncio di un evento futuro, la manifestazione di una realtà presente, la testimonianza e la proclamazione di qualcosa che è stato vissuto.
Tre tempi, passato, presente e futuro, per presentare una realtà storicamente accaduta, questo è certo, ma, ancor più, per rivelarci un Dio che, ogni giorno si propone e bussa alla nostra vita quotidiana e che chiede “nuovamente” di farsi carne nel mondo attraverso la nostra carne.
Cosa fare dinanzi a questo annuncio, a questa proposta?
Paolo, nella lettera ai Romani, ci parla di «obbedienza della fede»: il re Acaz disobbedisce all’invito fattogli dal profeta Isaia di chiedere un segno al Signore e mostra così tutta la sua incredulità; Giuseppe, nel Vangelo, si fida di Dio e risponde a quanto l’angelo gli indica, nonostante la situazione reale che si trova ad affrontare sia alquanto difficile e complicata. Questo gli permette di “aiutare” Dio a farsi carne in mezzo agli uomini, a farsi carne attraverso la sua carne, la sua vita, le sue scelte, i suoi gesti, il suo quotidiano.
«Così fu generato Gesù Cristo…» … e in nessun altro modo!
Non attraverso eventi grandiosi ma, ieri come oggi e ogni giorno, chiedendo all’uomo di ogni tempo, come a Maria e Giuseppe duemila anni fa, di far spazio nel proprio cuore, nel proprio pensare, nel proprio essere, nel proprio fare, nel proprio vivere a Cristo.
E’ questo che è accaduto a Paolo, «… servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo di Dio …».
Servo, cioè schiavo, talmente afferrato da Cristo da non potersi e volersi più svincolare dall’abbraccio d’amore del Signore stesso; talmente preso da non riuscire più ad allontanarsi da Cristo, dalla sua Parola, dalla sua testimonianza, dal suo martirio, da non riuscire più a respirare se non attraverso il respiro di Gesù.
Apostolo, cioè chiamato da Dio perché la sua esperienza di Lui non rimanga più un’esperienza solitaria ma aiuti ciascun uomo a sperimentare, nella stessa misura, l’amore di Dio.
Scelto, consacrato al Vangelo di Dio, reso sacro perché sacra è la Parola di cui si è fidato, di cui si fida e che non chiede altro che annunciare.
Servi, apostoli, scelti… «ecco la generazione che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe», ecco la generazione che dà carne al tuo volto, Signore di ogni uomo!

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