ColombiaBruno Desidera

“Nel mondo c’è una guerra in meno, quella colombiana”. Sono le parole pronunciate ad Oslo dal presidente della Colombia Juan Manuel Santos sabato 10 dicembre, mentre riceveva il premio Nobel per la Pace in seguito all’accordo raggiunto con le Farc, il gruppo armato marxista che ha abbandonato la guerriglia dopo oltre mezzo secolo. Per il presidente colombiano finisce in gloria (il tour europeo prosegue venerdì 16 dicembre con l’udienza in Vaticano e sabato 17 con il conferimento ad Assisi della Lampada di san Francesco) un anno ad alta tensione, sempre sull’ottovolante, mentre gli occhi del mondo erano fissi sull’ultimo Paese dell’emisfero occidentale ancora in guerra. Gli entusiasmi e le docce fredde non sono certo mancate, in questo 2016: l’accordo, che sembrava imminente all’inizio dell’anno, si era invece arenato. Per poi sbloccarsi a fine giugno con il cessate il fuoco bilaterale e il successivo accordo di agosto, firmato ufficialmente e trionfalmente a Cartagena il 26 settembre. Il 2 ottobre, però, l’anno dei plebisciti imposti e perduti non ha risparmiato neppure la Colombia e la causa della pace. L’accordo è stato respinto per un soffio dai cittadini. Le successive tappe sono delle ultime settimane: le trattative con il fronte del No, i cambiamenti all’iniziale testo dell’accordo, la nuova firma il 24 novembre e, il 1° dicembre, l’approvazione definitiva, affidata stavolta da Santos al Parlamento invece che al popolo. Ma senza convincere il grande oppositore, l’ex presidente della Repubblica Alvaro Uribe, che ha perfino accusato Santos di essersi comprato il Nobel. In ogni caso, il Presidente si è recato alla premiazione di Oslo dopo avere raggiunto l’obiettivo. E può ora con cuore più leggero ribadire a papa Francesco l’invito a visitare la Colombia nel 2017.

Dopo l’accordo paese ancora in sospeso. Ma è proprio vero che nel mondo c’è un Paese di meno senza guerra? L’impressione è che la Colombia starà ancora per un pezzo sull’ottovolante tra la pace e il conflitto.

I più ottimisti fanno notare che il passo ormai è compiuto e irreversibile, gli scettici puntano l’attenzione sul fatto che nel Paese esistono ancora uccisioni, violenze, territori fuori dal controllo governativo.

Per non parlare degli squilibri sociali. E che dalle elezioni del 2018 potrebbe pur sempre emergere un presidente vicino ad Uribe. Solo sfogliando i giornali colombiani degli ultimi giorni si trovano notizie contraddittorie: i primi passi dell’implementazione dell’accordo proseguono e la Corte costituzionale ha dato il via libera al cosiddetto “fast track”, cioè al canale privilegiato per le leggi che riguardano l’applicazione dell’accordo. Dall’altra, sono in aumento le uccisioni di leader sociali, impegnati a fianco dei campesinos. Mentre non mancano le diserzioni di parte qualche capo delle Farc (gli ultimi in ordine di tempo nella regione amazzonica del Guaviare).

L’opinione pubblica sta prendendo fiducia. Abbiamo chiesto di interpretare questa intricata situazione alla professoressa Janeth Patricia Muñoz Eraso, docente nella facoltà di Scienze politiche e relazioni internazionali dell’università Javeriana di Bogotá, esperta in particolare in sviluppo rurale. “E’ vero – dice al Sir dalla capitale colombiana – il nuovo accordo è fragile, dipende molto dalla Corte Costituzionale. Ma ci sono molte aspettative per la sua implementazione. Personalmente, però, sono ottimista.

Il popolo colombiano vuole la pace. Il No in ottobre ha vinto perché non c’era chiarezza.

Ma piano piano la gente sta prendendo coscienza sui reali contenuti dell’accordo, è fondamentale proseguire con l’informazione e la pedagogia della pace”. Il pensiero corre subito alla furibonda opposizione dell’ex presidente Uribe: “Nessuno – spiega la docente – nega il suo forte seguito nel Paese, ma la polarizzazione che si è creata è soprattutto una questione politica. Certo, Uribe ha cercato di addormentare il processo di pace, attraverso una campagna populista. Qualche mese fa mi sono recata a Medellín, nella regione di Antioquia, il feudo dell’ex presidente. La gente con cui parlavo non sapeva i contenuti dell’accordo, era totalmente disinformata, ma seguiva il suo leader. Tuttavia, sono convinto che se nel 2018 vincerà un presidente uribista il cammino proseguirà comunque”.

Ma gli attori della violenza sono ancora tanti. Preoccupazioni, piuttosto, arrivano dalle “periferie” della Colombia. “In campo – spiega Muñoz -, ci sono ancora tanti attori di guerra e violenza: c’è il gruppo guerrigliero dell’Eln, che pure si appresta a trattare la pace con il Governo; ci sono gli eredi dei paramilitari, le Bacrim, bande ai margini della legge che controllano interi territori e quartieri; ci sono i narcotrafficanti, e la delinquenza comune. Ho lavorato nello sviluppo rurale e con i contadini, vedo che la società civile rispetto a questi attori violenti continua ad essere presa in mezzo. In questi mesi sono stati uccisi tanti leader sociali, leader indigeni. Diversi leader delle Farc stanno disertando… No, non è un processo facile e breve. Però, come dicevo, sono ottimista. L’accordo apre un cammino, soprattutto rende possibile una maggiore partecipazione da parte dei cittadini”.

Il ruolo centrale della Chiesa. In questo cammino,

resta centrale il ruolo della Chiesa, come riconosce la stessa docente: “L’appoggio al processo di pace è ben visibile, soprattutto per il lavoro fatto a fianco delle vittime e nella società civile, con processi mirati”.

La Chiesa colombiana dopo il definitivo accordo ha espresso “felicitazione e speranza nella sua implementazione” e continua a promuovere la campagna informativa “Acciones Conscientes, Tu Compromiso con el Futuro” per diffondere tra la popolazione e, in particolare, tra gli operatori pastorali una cultura di pace e accompagnare nel territorio la conoscenza sui contenuti dell’accordo.

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