TerremotoDI Daniele Rocchi

“Siamo stanchi. Dal 24 agosto cerchiamo di andare avanti. Fin che abbiamo potuto abbiamo cercato di fare da soli, cucinando, aiutandoci in tutto, ma dopo le due ultime scosse (26 e 31 ottobre), abbiamo chiesto aiuto”. Nella piccola tendopoli di Ancarano, una delle frazioni di Norcia già colpite dal sisma del 24 agosto e messa definitivamente in ginocchio da quello delle 7.41 di domenica 31 ottobre, insieme a San Pellegrino, Campi, Preci, Castelluccio, i volontari della Croce Rossa sono al lavoro per sistemare ulteriori tende e strutture per gli abitanti di Ancarano, le cui abitazioni sono tutte in “zona rossa” e, in attesa di verifiche, inagibili. La maggioranza dei suoi abitanti ha deciso di restare. La montagna, la terra che ha sempre dato loro da vivere grazie all’agricoltura e all’allevamento, oggi sputa rocce e massi che rendono difficoltosi i collegamenti anche per i soccorritori e i loro mezzi pesanti. “Vivere in un campo non è vivere a casa. Siamo messi male. Tutto il borgo è ‘zona rossa’” racconta Maria Pia Graziosi, di Ancarano. La tenda della Protezione Civile è la sua casa dal 24 agosto. Mentre parla si sentono le voci dei bambini e dei ragazzi che giocano all’interno. I più grandi studiano, giocano con lo smartphone, i più piccoli disegnano. Tutti con lo stesso soggetto: il cielo con il sole, abitazioni nuove, famiglie felici. Segni di speranza che si scontrano con le preoccupazioni attuali dei loro genitori. “Alcuni di noi stavano pagando il mutuo per la nuova casa e adesso non si ritrovano più nulla – spiega Maria Pia, che ha due figlie – attendiamo di conoscere l’esito dei sopralluoghi per vedere l’agibilità delle abitazioni. Ma da quel che si vede

non ci sono molte speranze. Confidiamo nelle Istituzioni che ci hanno promesso che verrà tutto ricostruito”

dice con un mezzo sorriso. “Siamo molto stanchi, stressati, ma la forza non ci manca. Ci rialzeremo anche stavolta” è il suo saluto, prima di rientrare nella tenda per preparare il caffè agli altri ospiti del campo e ai volontari.

“Essere presenti”. Poco lontano, monsignor Benedetto Tuzia, vescovo di Orvieto-Todi e delegato regionale Caritas, ascolta le parole di Maria Pia. Annuisce.

“Il sisma – conferma al Sir – non ha distrutto solo i luoghi, le case, le chiese, ma le stesse comunità. L’impegno è quello di essere presenti con i nostri sacerdoti e volontari tra le popolazioni colpite e stremate da questo lungo sisma, per rinsaldare la comunità e proporre dei percorsi che evitino lo spopolamento”.

“Essere presenti”: è la parola d’ordine della Chiesa locale, e non solo. “Esserci fisicamente per raccogliere anche i loro sogni, per sostenere la loro tenacia, la loro volontà di non mollare e di ricominciare. I sacerdoti – dice il vescovo di Orvieto – sono qui sin dal primo momento, condividono con la popolazione gli stessi pasti, i ricoveri nelle tende. Ho sperimentato in prima persona la forza e la tenacia di questi preti che sono rimasti accanto alla gente. Un grande segno di comunione”. In questi giorni a Norcia sono arrivate anche delegazioni delle Caritas regionali di Campania, Triveneto e Sardegna per fare il punto sulla situazione delle zone colpite dal sisma e progettare la creazione di gemellaggi per sostenere le comunità locali. “La comunione, la condivisione la si fa in tanti modi – spiega mons. Tuzia – nell’incontro e nell’animazione dei bambini, del ritrovarsi degli adulti, nello stare vicino agli anziani, ma soprattutto ritrovandoci intorno a Cristo.

Creeremo anche i luoghi fisici dove poterci ritrovare come comunità, e il primo di questi deve essere l’altare”. “Ci sentiamo Chiese sorelle e con questo spirito ci muoveremo” conferma don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana di Cagliari e delegato regionale di Caritas Sardegna. “Negli anni scorsi siamo stati colpiti dall’alluvione e abbiamo sentito e visto tanta solidarietà da parte delle Caritas delle altre diocesi italiane. Con la diocesi di Spoleto-Norcia abbiamo un legame forte per via di monsignor Ottorino Pietro Alberti, arcivescovo di Cagliari, morto nel 2012, che di Spoleto-Norcia è stato arcivescovo, dal 1973 al 1987. Anche per questo abbiamo deciso di intervenire in questo territorio. In che modo lo stiamo pensando con le Caritas umbre. Saremo vicini con risorse umane, materiali e spirituali in vista della ricostruzione”.

“Dare certezze”. Parole accolte con soddisfazione dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo: “questa vicinanza delle Caritas è un segno concreto e visibile della solidarietà della Chiesa. L’urgenza è dare risposte concrete a bisogni concreti. La gente è distrutta psicologicamente, sta arrivando il freddo ed è quindi urgente intervenire con strutture comunitarie, con il sostegno alle piccole imprese zootecniche e agricole. Tutto questo per dare delle certezze alle persone che amano questa terra e che, giustamente, non vogliono lasciarla. Non dobbiamo consentire lo spopolamento della montagna”. “Vogliamo rimanere nella nostra terra, siamo gente di montagna in grado di affrontare un inverno in emergenza, aiutateci a non far morire le nostre montagne”, è l’appello di don Luciano Avenati, parroco dell’Abbazia di S. Eutizio, rilanciato anche dal parroco di Norcia don Marco Rufini:

“aiutateci a ricreare la comunità, che viene ancor prima degli edifici, che è scollata e disorientata”.

Il lavoro continua: i vescovi umbri saranno a Norcia il 28 novembre per la loro riunione della Conferenza episcopale regionale.

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