HaitiDi Patrizia Caiffa

Un paesaggio desolante senza più vita, con alberi sradicati e abbattuti al suolo, animali uccisi, tetti delle case e delle chiese divelti, raccolti distrutti. Nemmeno gli uccelli volano più, tranne qualche raro avvoltoio. Dopo il vento devastatore a 230 chilometri orari, poi è arrivata la pioggia dirompente, che ha invaso tutto. La gente ha fame. Non c’è cibo, né acqua potabile. Con il rischio sempre presente, soprattutto nei mercati, che si diffondano il colera e altre malattie. Migliaia di vittime (le stime ufficiali ne indicano 900 ma sono sicuramente molti di più perché la maggior parte non ha documenti) e una popolazione abbattuta, dimenticata. Questa è la situazione oggi ad Haiti – nei dipartimenti del Sud, della Grand’Anse, di Nippes, del Sud-est, dell’Ovest, dell’Artibonite e del Nord-Ovest – dopo il passaggio dell’uragano Matthew tre settimane fa. Secondo le organizzazioni internazionali sono ancora 1 milione e 400mila le persone che hanno bisogno di assistenza alimentare, di cui 800mila allo stremo. “I camion con il cibo vengono assaltati. Devono viaggiare con la scorta delle forze dell’Onu – racconta Michel Roy, segretario generale di Caritas internationalis, appena tornato da una missione ad Haiti -. Giorni fa una nave con aiuti alimentari è stata costretta a fare dietrofront: al porto rischiava di scatenarsi una rivolta per il cibo”. La Cei ha stanziato per gli aiuti immediati 1 milione di euro, in parte destinati alla rete Caritas, in parte alle congregazioni religiose presenti nel Paese. Dopo questa missione di ricognizione Caritas internationalis lancerà un nuovo appello di 5 milioni e mezzo di euro. “Ma non sono sicuro che riusciremo a raggiungere quella cifra”, dice con preoccupazione Roy:

“Questa tragedia è stata dimenticata e la popolazione abbandonata”.

Uno scenario apocalittico.  “La devastazione è enorme  – prosegue  -. Evoca scenari simili a Hiroshima e Nagasaki. E poi le alluvioni, le inondazioni. In una cittadina la via principale è diventata il letto di un fiume. In questo periodo piove ogni giorno ma i tetti delle case sono volati via. La gente vive tra le macerie delle proprie case e non trova cibo da mangiare”.  Un disastro, specie nei villaggi rurali più isolati, che sopravvivevano con le attività agricole e di allevamento. Qui è difficilissimo far arrivare gli aiuti alimentari.

La popolazione è ancora sotto choc. Il segretario generale di Caritas internationalis descrive una popolazione traumatizzata: “Durante l’uragano un papà ha visto volar via il figlio neonato che teneva stretto tra le braccia, tanto era forte il vento”. Anche i sacerdoti, i parroci, le religiose sono in difficoltà. “Alcune suore non possono più vivere nel convento. Un giovane parroco era ancora scioccato, si vedeva chiaramente che non stava bene”.

Aiuti governativi e internazionali non sufficienti. In questa situazione, il governo di Haiti è intervenuto poco e male. Ha attivato solo i “Centres d’operations d’urgences départementaux” ma non bastano.

Gli aiuti delle grandi organizzazioni internazionali, seppur presenti, “non sono all’altezza dei bisogni”, denuncia Roy.

E quando ci sono, rischiano di essere strumentalizzati dai politici locali. “In parte dipende dal governo haitiano, più preoccupato della situazione politica e delle elezioni che del bene comune”. La comunità umanitaria presente ad Haiti ha lanciato un appello di 56 milioni di dollari per rispondere, nei prossimi tre mesi, ai bisogni alimentari delle persone colpite dall’uragano.

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La solidarietà tra diocesi. Sul versante cattolico Caritas Haiti si è subito attivata, in coordinamento con le autorità locali. E’ scattata una solidarietà interna per aiutare le diocesi colpite: Jérémie, Nippes, Cayes, Jacmel e Port-de-Paix. Sono stati distribuiti aiuti alimentari e kit igienici a 2.700 famiglie (13.500 persone) e avviati programmi  per sensibilizzare la popolazione sulla prevenzione di malattie infettive. Il cardinale Chibli Langlois, vescovo di Cayes e presidente della Conferenza episcopale di Haiti, ha consegnato a Caritas un appello. La sua diocesi è stata tra le più colpite: danni alla cattedrale e molte chiese senza tetto. Si celebra all’aperto, nonostante la pioggia. Le cappelle rimaste in piedi vengono utilizzate come aule scolastiche. “Gli sfollati sono accolti nelle strutture più grandi e solide, che hanno resistito al vento – dice Roy -. Anche molti privati si sono dati da fare con generosità: nell’hotel in cui alloggiavo erano ancora ospitate un centinaio di persone”. Ascoltate le richieste delle Chiese locali, la Caritas ha ora intenzione di intervenire per aiutare la popolazione a riprendere le attività produttive: “La gente chiede semi e piantine per ricominciare a coltivare; barche e reti da pesca; legname per ricostruire i tetti e le pareti di casa; aiuti sanitari. Speriamo di riuscire a raggiungere la cifra necessaria”. Qui il link per donare.

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