CalaisDi M. Chiara Biagioni

Uno sgombero inevitabile viste le condizioni disumane in cui i migranti erano costretti a vivere. Nel fango, al freddo dell’inverno, nella sporcizia. Ma l’appello delle associazioni e della Chiesa cattolica di Francia è che lo smantellamento del campo avvenga nel più totale rispetto della dignità umana e con un’attenzione di riguardo per i minori, le donne e le persone più vulnerabili.

Sono cominciate alle 6 di lunedì 24 ottobre le operazioni di sgombero della “giungla” di Calais.

Il piano del governo è di portare i migranti (le cifre parlano di una presenza tra le 6/8mila persone) nei 287 Centri di accoglienza e orientamento (Cao) che sono stati predisposti su tutto il territorio francese.

Solo la Corsica e l’Île-de-France non sono state coinvolte nel piano di ricollocazione. Già dalla prima giornata sono stati fatti partire 60 bus per un totale di 1.900 migranti; 45 bus da 50 posti partiranno oggi, 40 mercoledì e così via per tutta la settimana. Un piano logistico colossale che sarà presidiato da un contingente di 1.250 agenti di polizia e gendarmi. Per ora tutto si è svolto nella calma ma si temono scontri verso la fine della settimana quando nel campo saranno rimasti coloro che non hanno alcuna intenzione di partire.

Tra la bidonville e il punto di partenza dei bus, è stato costruito un hangar di 3mila metri quadrati dove è stato allestito il centro di smistamento. Una preoccupazione specifica riguarda i minori. Secondo un censimento dell’organizzazione francese Ftda del 12 ottobre,

nel campo di Calais vi erano 1.291 minori non accompagnati, in media tra i 14 e i 18 anni (il più giovane 6 anni), che rimarranno a Calais finché non verrà accertata la loro situazione.

I migranti si mettono in fila con le loro valige per espletare le procedure ufficiali prima di salire sui bus, racconta Didier Degrémont, presidente della delegazione di Secours-catholique Pas de Calais, presente sul posto fin dalle prime ore delle operazioni. “È estremamente commovente vedere tutte queste persone che abbiamo accompagnato fino ad oggi partire. La nostra speranza è che siano accolte come abbiamo loro promesso. La nostra preoccupazione è capire cosa succederà dopo. Ci chiediamo che cosa ne sarà di quelli che non hanno lo statuto di rifugiati”. I migranti stanno percorrendo file diversificate, che separano i maggiorenni, i minori non accompagnati, le famiglie e le persone vulnerabili che necessitano di cure (e saranno seguite da Medici senza frontiere). Verranno loro proposte due destinazioni in due diverse regioni.

Jusqu’à 20h ce soir, 60 bus partiront de la “jungle” de Calais avec des migrants à leur bord, direction des Centres d’accueil en France

Le condizioni in cui vivevano qui a Calais sono “indescrivibili”.

“Vedo davanti a me tende completamente sommerse nell’acqua – racconta l’operatore della Caritas -. Non si poteva continuare così. Non è degno, non è degno per un Paese come la Francia”.

La macchina del dopo-Calais è partita e il Secours-catholique Caritas France ha mobilitato le sue forze associative su tutto il territorio nazionale per accogliere le persone che arriveranno.

Il “grande interrogativo” delle associazioni è sul destino che attende chi non ha intenzione di lasciare Calais e vuole a tutti i costi raggiungere l’Inghilterra. Per questo la Caritas Francia chiede al governo l’istallazione su Calais di un dispositivo permanente di accoglienza, “perché – spiega Degrémont – ci saranno sempre uomini e donne, che arriveranno qui con l’intenzione di ripartire per l’Inghilterra”.

Il vescovo di Arras, monsignor Jean-Paul Jaeger, lancia in queste ore di sgombero un appello perché le operazioni si svolgano con “un surplus di dignità e rispetto, soprattutto nei riguardi dei minori, delle donne sole e delle persone che si trovano in condizioni di salute precarie”.

“Anche se questo luogo ha rappresentato per molti un raggio di speranza – dice il vescovo -, l’insalubrità e le condizioni precarie di sussistenza lo condannano a sparire”. Ma il tempo dello “smantallemento” – chiede mons. Jaeger – deve diventare un tempo per “costruire”.

“Questi uomini e queste donne hanno lasciato il loro Paese e le loro famiglie in circostanze spesso atroci e dolorose. Sono state spesso sfruttate da reti che dovevano condurle a un’ipotetica terra promessa e sono state invece portate a Calais nelle condizioni che conosciamo”.

Il vescovo si dice poi preoccupato che “l’evento altamente mediatizzato possa innescare paure, riflessi di difesa e di rifiuto”. E aggiunge: “Le nostre frontiere cadono quando si tratta di vendere, comprare, produrre, far circolare capitali. Perché dovrebbero ora essere rafforzate e diventare addirittura più chiuse quando degli esseri umani si muovono perché la loro vita è in pericolo?”. Il vescovo di Arras mette quindi in guardia anche dalla campagna elettorale in corso in Francia per le presidenziali del 2017 e chiede di non limitare la questione a slogan elettorali “quando in causa c’è la sopravvivenza stessa di esseri fragili”. E ai fedeli cattolici ricorda che sebbene stia terminando l’Anno della misericordia, le sue opere “continueranno a cadenzare la vita quotidiana delle nostre comunità perché sono il segno e il frutto della missione di Cristo e della Chiesa. “L’accoglienza dello straniero – conclude il vescovo – è una di queste opere di misericordia di cui Cristo ci dà l’esempio e ci chiede di praticare come suoi veri discepoli”.

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