lavoroDi Luigi Crimella

Ci sono quattro parole “magiche” che dovremo tenere d’occhio nei prossimi mesi, riguardo all’economia del nostro Paese e alle sue possibilità di ripartire dando lavoro e tornando a redistribuire un po’ di ricchezza alle famiglie; queste quattro parole cominciano tutte per “i” e sono “Investimenti”, “Infrastrutture”, “Innovazione” e “Industria 4.0”. Se ne parla nel piano messo a punto dal Ministero per lo sviluppo economico e conosciuto – appunto – come “Industria 4.0”, presentato la scorsa settimana e che verrà man mano attivato coinvolgendo le diverse realtà produttive su scala nazionale (per le aziende più grandi) e su scala locale (per il sistema delle piccole e medie industrie).

Le novità di “Industria 4.0”. Il programma “Industria 4.0” è molto complesso e richiede la concertazione tra Governo, imprese, parti sociali perché è orientato a digitalizzare e integrare il più possibile i processi produttivi, diffondere la robotica e l’automazione industriale; a gestire grandi banche dati per ottimizzare la produzione collegandola alle richieste del mercato internazionale. Sono previste forme di sostegno finanziario e fiscale alle imprese che innoveranno i processi produttivi (super-ammortamento fino al 250%, taglio dell’Ires, finanziamenti agevolati e riduzioni di imposta per la ricerca e sviluppo fino a 20 milioni, ecc.) con forme di intervento in partenariato pubblico-privato. Lo Stato metterebbe 13 miliardi e i privati altri 24, per un totale di oltre 37 miliardi nel giro di pochi anni. Ultima voce di “Industria 4.0” è quella del sostegno alle startup, le società più innovative, per favorire la ricerca e lo sviluppo di brevetti. Tutto questo unito al piano della diffusione della “banda larga” per far arrivare con la fibra i servizi di internet veloce in ogni parte del Paese e favorirne così la crescita, specie delle zone più arretrate dal punto di vista produttivo e tecnologico.

La ricchezza dei “distretti” produttivi. Proprio a questo riguardo, negli ultimi tempi l’attenzione è tornata sulla realtà dei distretti produttivi di cui l’Italia è ricca. Pensiamo ad esempio alle aree di Prato (tessile e abbigliamento), Brianza con Milano, Monza, Bergamo e Brescia (meccanica e meccatronica), Padova e Treviso (industria sia meccanica sia tessile), Vicenza (gioielleria, oreficeria, strumenti musicali), Como e Busto Arsizio (tessile, filati), Lecco (metalmeccanica, meccatronica). Bisognerebbe anche inserire i distretti delle industrie alimentari che si fondono con le imprese agricole più strutturate (Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Puglia), come pure i distretti portuali e del commercio minerario e navale (da Genova a Livorno, Piombino, fino a Taranto, Gioia Tauro ecc.). Per tutte queste realtà l’analisi economica parla di una ripresa più o meno accentuata della produzione, delle vendite e delle esportazioni. Tanto per fornire alcune cifre sull’export: le piastrelle di Sassuolo registrano un +8%, le macchine per l’imballaggio di Bologna +12,8%, la pelletteria e calzature di Firenze +6,7%, l’olio toscano +31,9%, il caffe, cioccolato e confetteria torinese +34,6%, la termomeccanica di Padova +11,6%, le calzature di Montebelluna +12,3%. Il dato che balza all’occhio è che la “ripresa” dei distretti significa che l’economia davvero sta ripartendo, almeno sul versante più avanzato e proiettato all’export. Purtroppo non tutto il resto del Paese sembra in grado di seguire questa tendenza così positiva: se – per miracolo – tutta l’Italia prendesse la velocità di crescita dei suoi principali distretti produttivi, balzeremmo in testa alle classifiche mondiali di sviluppo!

Il caso-Lombardia e la “global value chain”. Cifre impressionanti sono state fornite in questi ultimi giorni da Assolombarda, l’associazione delle imprese aderenti a Confidustria che operano nelle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza. Confrontando la produttività media delle imprese “top” dell’area rispetto alle altre quattro aree più avanzate d’Europa (Baden-Wurttemberg, Baviera, Rhone-Alpes, Catalogna) emergono i seguenti risultati. La produttività media per addetto delle cinque aree messe insieme è di 71.500 euro, mentre quella lombarda balza al primo posto in assoluto con 88.200 euro. Se si guarda poi alla produttività media in genere, cioè di tutto il sistema produttivo comprese le piccole e medie imprese delle cinque aree più forti d’Europa, il dato medio europeo è di 44.600 euro e quello medio lombardo di 44.800. Il che significa che anche la media delle imprese lombarde, comprese le meno virtuose, supera il risultato medio della migliore Europa industriale. Uno dei segreti della crescita lombarda – spiega ancora la ricerca – è che qui si utilizzano i processi di “global value chain” (catena del valore globale), mettendo in comune piattaforme digitali, brevetti, rapporti commerciali sviluppati, produzioni integrate e robotizzate. Le aziende più avanzate su questo percorso realizzano un incremento di produttività pro-capite di ben 27.000 euro per addetto rispetto a tutte le altre. Va rilevato che il sistema lombardo vede oltre il 60% delle aziende impegnate nell’esportazione. Uno dei segreti della creazione di ricchezza e di lavoro – sembrano dire questi risultati – sta nell’essere sempre più innovativi e integrati con gli altri.

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