giustiziaDi Francesco Bonini

Finalmente le notizie delle assoluzioni, ovvero del non luogo a procedere, hanno avuto un rilievo se non simile, almeno comparabile a quello dell’avvio dei procedimenti giudiziari. Da Marino a Cota, passando per i recenti precedenti che hanno interessato Bertolaso, De Luca e Zingaretti, a molti altri politici e amministratori di diverso livello, la magistratura (giudicante) ribalta le sentenze che a caldo mass media e politici, (falsi) amici o oppositori, avevano emanato con fretta sospetta, sulla base del semplice avvio del procedimento da parte della magistratura (inquirente). Sentenze però che nell’opinione pubblica sono già passate in giudicato.

E’ un malcostume che dura da più di vent’anni e coinvolge un po’ tutti gli attori di questo circuito che spesso diventa circolo vizioso.

E’ tempo di smetterla, di invertire una rotta che non ci sta portando da nessuna parte, anzi, ci tiene in stallo. Si è colpevoli solo a sentenza passata in giudicato. Punto.
In realtà la cosiddetta scorciatoia giudiziaria ha funzionato soprattutto come forte arma di delegittimazione, brandita a fini di lotta politica senza curarsi delle conseguenze; la qual cosa finisce col produrre una vistosa eterogenesi dei fini per cui chi trae profitto dalla deriva sono le forze di protesta o contestazione “globale” al “sistema”.
Per carità: tutti i reati, e in particolare quelli che commettono politici e amministratori nell’esercizio delle loro funzioni, che sono particolarmente odiosi, devono essere perseguiti, perseguiti fino in fondo, con determinazione.
Ma proprio per questo è parimenti

urgente mettere ordine nel disordine italiano, che nasce e si sviluppa proprio nella confusione dei piani, quello delle indagini e dei giudizi, della politica e della magistratura, della rappresentanza e della comunicazione. Per non parlare degli interessi economico-finanziari che si aggrovigliano, si agglutinano e si incistano nel disordine.
Servirebbe uno stop, un rallentamento generale, per trovare un equilibrio, nell’interesse dei cittadini. L’accelerazione continua però sembra sia il carattere della contemporaneità. Salvo che in questo modo non ci si concentra sui problemi, si consumano le risorse di sistema e dunque la società nel suo complesso si impoverisce.
In realtà l’unico rimedio è un surplus di qualità, degli attori e dei corpi.
Ma la qualità è oggi una merce rara, molto rara. L’unica cosa certa è che per risolvere il problema della qualità non serve invocare un decisore supremo, ovvero secondare processi di verticalizzazione, magari suggeriti dalla finanza globale. Né invocare un supremo censore, che garantisca la virtù degli attori e dei processi.
Servono tempi lunghi. Oggi ci stiamo accorgendo che abbiamo perso tanto tempo: vent’anni e più. E’ il paradosso dell’accelerazione, che alimenta aspettative e genera frustrazione. Orizzonti brevi, un po’ isterici e sincopati, consumano molte più energie e risorse che un orizzonte più ampio e largamente condiviso. E danno meno frutti, come oggi stiamo constatando, non senza amarezza.

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