ragazziTecnologiapDi Davide Rondoni

Tutti siamo rimasti colpiti dal suicidio della ragazza a seguito della vergogna causata da suoi filmini sul web. Una storia di fragilità, di stupidità e di vera canaglieria. Eppure, pochi giorni prima in un editoriale sul maggiore quotidiano del paese, lanciando una manifestazione e citando un romanzo da poco insignito del maggior premio letterario, si affermava senza mezzi termini che le pulsioni sessuali sono la radice della nostra identità. Le due cose, il fatto terribile della ragazza vittima di un uso banale e violento di quelle pulsioni e la affermazione dell’editorialista, sono una coincidenza che offre da pensare.

Siamo infatti sicuri che sia corretto affermare che la radice della nostra identità risiede in una pulsione sia essa di tipo erotico o di altro genere? Se così è, allora, significa che noi esprimiamo veramente la nostra identità, chi siamo davvero, in quelle pulsioni.

Da tempo, come ha sottolineato anche un noto sociologo come Zygmunt Bauman, nella cultura dominante si è provveduto a staccare, a isolare il fenomeno del sesso come un fenomeno a se stante, non più necessariamente legato ad altre sfere della vita. Lo si è “liberato” secondo certe idee nutrite da alcuni “maestri” del pensiero novecentesco, da ogni riferimento, da ogni legame, da ogni necessità di interpretazione culturale, morale e anche sociale. Insomma, il sesso, secondo queste idee è un fenomeno a se stante, che riguarda appunto la radice della identità personale e dunque non può essere “discusso” , interpretato, governato, a partire da nessuna cultura o morale o idea. Lì, sembra esserci la vita allo stato puro, libero. Ed è stato inevitabile dunque che su questo livello della esistenza e sulle sue pratiche si sia concentrata in questi decenni una attenzione spasmodica, pervasiva. Una attenzione motivata evidentemente dalla ricerca di una radice, dunque, di una identità profonda, di una forza pura e primigenia a cui legare la propria esistenza.

Da qui una specie di totalitarismo o come qualcuno lo chiama un pan-sessismo che ha invaso tutti i campi, dalla comunicazione alla letteratura, dai consigli per gli acquisti ai consigli nella rubrica della posta del cuore.

In parte, questo si deve certamente alla reazione a una mentalità di fine ottocento e primo novecentesca piena di fobie e di censure, tipiche della borghesia e della ignoranza, spesso ammantate – più in paesi protestanti che cattolici a dire il vero – da pseudo giustificazioni religiose. Molti studiosi sono ormai concordi che molte delle censure ottocentesche e novecentesche si devono a convinzioni e usanze di stampo borghese o superstizioni che poco avevano a vedere con il cristianesimo autentico, come mostra una certa larghezza reale di costumi presenti invece nel medioevo cristiano. Ma al di là delle ricostruzioni storiche,

è ormai evidente il fatto che oggi sia “scontato” considerare la pulsione sessuale come radice della identità e il sesso come elemento separato dal resto e indiscutibile.

Non stupiscono dunque questi abusi a prezzo anche di banalizzazioni orrende, né la nevrosi che circonda spesso la questione. È lo stesso Baumann come altri infatti a interrogarsi se davvero ora si possa parlare di un sesso liberato o piuttosto di un fenomeno nevrotizzato, o come diceva già Pasolini, mercificato, più spesso motivo di angosce che di vera gioia. L’assenza, la demolizione di griglie culturali e interpretative per leggere tali pulsioni e le azioni conseguenti, la considerazione del sesso come fattore separato dal resto, argomento trattabile a parte, come se non entrassero in gioco invece tutte le altre dimensioni della persona, in bene e in male, ecco, tutto questo impoverimento della lettura del fenomeno erotico sta dando vita – come tragicamente abbiamo visto – a comportamenti diffusi di banalizzazione. Quasi incosciente.

Nella banalizzazione, lo sappiamo, si annida spesso il volto peggiore del male. Siamo tutti infragiliti da questa situazione, pochi ne sono immuni.

Ma qualcosa si può fare, e non certo nel senso della repressione o della cupezza. No, occorre una nuova allegria, più sensata e ricca di significato. Una nuova allegria che sappia leggere con realismo e cautela la grande forza del fenomeno erotico. Non a caso è un filosofo cristiano, Jean Luc Marion, e alcuni poeti cristiani sono tra protagonisti del dibattito più serio su queste cose. Abbiamo bisogno, proprio ora che la tristezza senza respiro per quella giovane donna ci ha colpito, di ritrovare le ragioni di una nuova gioia legata alla comprensione di come siamo fatti. Senza spacciare stupidaggini come quelle sulla radice della nostra identità in una pulsione. No, la identità di ciascuno sta in qualcosa di ben più ricco e complesso che una pulsione. Sta in una cosa che gli antichi chiamavano con vari nomi nelle loro tradizioni: fiato, anima, respiro vitale. Riallacciare i fili, interpretare di nuovo i legami tra questa vera sede della nostra identità e le pulsioni e i desideri di cui siamo fatti è un grande compito che ci attende. Insomma è urgente fare nuova cultura intorno a questi aspetti della vita. Il Ministero ha lanciato “l’educazione alla affettività” nelle scuole. Speriamo non sia una banalizzazione di cose che in realtà un buon insegnante di qualsiasi materia potrebbe fare e che studiando letteratura e scienze potrebbero già cogliersi. Si tratta comunque di un impegno per tutti, non solo per la scuola. Si deve evitare che si possa morire orrendamente – in senso reale ma anche figurato – per aver cercato la gioia in un modo banale, deviando su vie che portano al nulla.

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