MacedoniaIva Mihailova

Decine di migliaia di persone si sono date appuntamento in piazza al centro di Skopje lunedì sera. La protesta è chiamata “rivoluzione dei colori”, “sciarena revoluzia” in macedone, per i palloncini pieni di vernice che i manifestanti lanciano verso gli edifici del governo. Da 70 giorni i macedoni continuano a scendere in piazza, esasperati dalla crisi politica senza precedenti che il Paese sta vivendo da oltre un anno. E le proteste proseguono.

Manifestazioni e violenze. La marcia, denominata “Cittadini per la giustizia”, è iniziata come di consueto di fronte alla sede della Procura speciale costituita per indagare sullo scandalo delle intercettazioni che ha coinvolto diversi esponenti politici. In questo modo i manifestanti hanno espresso il loro appoggio all’istituzione prima di avviarsi verso le sedi del Parlamento e del Consiglio dei ministri. A un certo punto la tensione è salita e un gruppo di dimostranti ha iniziato a tirare sassi sulle finestre del ministero della Giustizia, hanno cercato di rovesciare l’imponente statua di Prometeo e nuovamente hanno gettato palloncini di vernice sugli edifici istituzionali.

L’inizio della crisi politica. “Le proteste dimostrano che la Macedonia è affetta da una brutta malattia – spiega al Sir Nikolay Krastev, giornalista, esperto di Balcani –. Tutto è cominciato con lo scandalo delle intercettazioni che ha coinvolto il governo di Nikola Gruevski del Vmro”, il Partito democratico per l’unità nazionale macedone, al potere fino allo scorso gennaio.

L’opposizione ha rivelato che 20mila persone tra politici, rappresentanti di associazioni non governative, giornalisti e leader religiosi erano state spiate.

Questa vicenda ha causato la caduta del governo di Gruevski, costretto a dimettersi. “Nonostante i ripetuti tentativi di procedere a nuove elezioni, con la mediazione dell’Unione europea, le trattative tra le principali forze politiche sono state sospese e non si vede una via d’uscita”, spiega Krastev.

Le richieste. La crisi politica di Skopje è stata recentemente discussa anche nell’ambito di una riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue che hanno stabilito la necessità di un dialogo aperto tra le varie forze in campo, l’adempimento del trattato di Przino che prevede lo svolgimento di elezioni libere e l’urgenza di placare le tensioni della piazza.

Ma la mancanza di prospettive certe rende le proteste più violente

e nella serata di lunedì 20 giugno si è arrivati a scontri con la polizia. I manifestanti hanno perso la pazienza perché sabato è scaduto il termine che avevano intimato ai politici per esaudire le loro richieste: in cima alle quali figurano il termine di ogni persecuzione o intimidazione verso coloro che protestano, la costituzione di un governo di transizione che porti a elezioni democratiche e le dimissioni del Presidente della Repubblica.

Il ruolo del Presidente Ivanov. “Il Capo di Stato, Gjorgje Ivanov, esponente del Vmro, è uno dei responsabili di questa situazione – sottolinea Krastev –; invece di graziare 56 dei politici coinvolti nello scandalo delle intercettazioni, poteva cercare di essere un mediatore per raggiungere l’auspicato accordo” per una transizione democratica. Martedì 21 giugno il Parlamento macedone ha invece bocciato la proposta di impeachment del presidente Ivanov. Nel frattempo le elezioni sono già state rinviate due volte perché l’opposizione sostiene che un voto libero non potrà essere effettuato prima di modificare le liste elettorali che contengono nomi di persone inesistenti. “Il partito Vmro ha governato il Paese per 10 anni, ha creato una sua rete di seguaci che temono che una svolta li escluderebbe dal potere”, ritiene Krastev.

Secondo diversi osservatori internazionali, la gran parte dei media di Skopje sono fortemente influenzati dal governo e anche dall’attuale esecutivo ad interim, guidato sempre da un esponente del Vmro, Emil Dimitriev.

Dimenticati dall’Europa. “Non c’è una politica estera” in Macedonia; “quello che succede nel mondo, nei media si dice in due minuti, prima dello sport, mentre in realtà il Paese è come una jurta mongola, lontana anni luce dalla civiltà e dalla comunicazione”, scrive in un editoriale il quotidiano macedone “Dnevnik”. Acquisita l’indipendenza nel 1991 dopo la scissione dalla Yugoslavia, la Macedonia ha una popolazione di appena 2 milioni di abitanti e parecchi problemi fra disoccupazione ed economia in crisi. Secondo Krastev “la verità è che l’Europa, troppo concentrata su se stessa, ha dimenticato i Balcani occidentali dove i processi di cambiamento e di riconciliazione non sono affatto terminati”.

“La continua instabilità in Macedonia – aggiunge – potrebbe diventare pericolosa e sfociare in violenza, soprattutto su base etnica. Non dimentichiamo la vasta minoranza albanese e il fantasma del nazionalismo che non è mai sparito dai Balcani”.

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