Terra dei fuochiDi Gigliola Alfaro

“Via le ecoballe dalla Terra dei fuochi in tre anni e via la camorra dalla gestione dei rifiuti”. È la promessa fatta dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, quando lo scorso 11 giugno è stato in visita al sito di stoccaggio delle ecoballe di Taverna del Re a Giugliano. “La Terra dei fuochi dovrà diventare solo un ricordo”, ha aggiunto il premier. Da fine maggio, infatti, è iniziata la rimozione delle ecoballe proprio da Taverna del Re. La destinazione finale sarà all’estero. L’operazione è stata resa possibile dallo stanziamento da parte del Governo di 450 milioni di euro, 100 dei quali già per il 2016. “L’avvio del trasferimento delle ecoballe da Taverna del Re è un segnale incoraggiante, che mostra un’inversione di tendenza. Ed è un sollievo sapere che qualcuno si sta occupando fattivamente del problema, impegnando dei soldi nazionali. C’è stato anche il rischio che fosse chiesto alla Regione di risolvere tutto da sola, mentre ora è il Governo nazionale che si fa carico della questione”, afferma Stefano Di Foggia, direttore dell’Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro, pace e giustizia e custodia del Creato di Aversa.

Necessaria cautela. Di Foggia invita a “essere cauti nei giudizi”: “Va bene intervenire sulle ecoballe in tempi rapidi, ci sono stati appalti a diversi soggetti, su alcuni dei quali si sta indagando, pure con controlli dell’Autorità nazionale anticorruzione. Si parla di rifiuti portati in Romania e Bulgaria, ma non sappiamo una volta giunti lì cosa succederà”. In realtà, prosegue il direttore dell’Ufficio diocesano,

“già la presenza del rifiuto è indice di una patologia di sistema.

Infatti, dovrebbe essere trattato a monte come ‘materia prima seconda’. Ciò dipende dal fatto che non c’è l’obbligo di una progettazione industriale dello smaltimento degli scarti in un modo non nocivo per il sistema ambiente”. Di Foggia ricorda, poi, che “oltre alle ecoballe, qui c’è anche il problema delle discariche. I vari comitati sorti sul territorio indicano un’altra via: quella dellabiorimediazione, che consiste in trattamenti con dei vegetali per un risanamento naturale dei territori”. Per il direttore, occorre “capire queste concentrazioni di rifiuti che danni hanno apportato alle nostre terre, come bonificare le discariche per riconsegnarle alle comunità. Non è possibile continuare a mantenere questi ‘santuari’ di morte”.

Come dopo una guerra. Tante persone sono morte o si sono ammalate nella Terra dei fuochi. Secondo Di Foggia, “non dobbiamo avere paura di danneggiare l’economia denunciando questi fatti.

Abbiamo fatto un percorso di verità dal quale non si può tornare indietro.

Adesso non avrebbe senso negare quanto è successo, anche perché i nostri prodotti vengono passati a un vaglio molto più stretto rispetto al resto d’Italia e quelli che sono commercializzati sono sicuri: sono delle vere eccellenze”. “Qui – ammette il direttore – ci sentiamo come dopo una guerra: la ricaduta positiva è che si sono accresciute le sensibilità verso l’ambiente. Non solo: abbiamo alzato il velo su una realtà che non riguarda solo la Campania, ma che qui si è molto sviluppata per la presenza della criminalità organizzata. Purtroppo, ci sono delle industrie che illegalmente si liberano dei loro rifiuti pericolosi, che sono molto costosi da smaltire. In Italia ancora non abbiamo un controllo della tracciabilità dei rifiuti industriali, ma non è pensabile che gli scarti più tossici delle lavorazioni siano lasciati fuori controllo”.

Il ruolo della Chiesa. In Campania la situazione è aggravata “dalla piccola economia in nero, che è molto diffusa e genera lo smaltimento di scarti di pellami, stoffe, solventi, amianto, in piccole quantità ma ovunque. Anche in questo caso non c’è controllo. I rifiuti locali si sommano agli inquinanti che vengono dal Nord Italia, come i fanghi di Porto Marghera. Dopo che si sono accesi i riflettori sulla Terra dei fuochi, il sistema si è interrotto e non abbiamo più un flusso così devastante, ma temiamo che i rifiuti pericolosi siano trasportati altrove in Italia. Ora da tutto il Paese chiamano don Maurizio Patriciello, sacerdote simbolo dell’impegno nella Terra dei fuochi, ma anche tutti noi per sapere come siamo riusciti a suscitare una reazione popolare così forte contro il degrado. In effetti,

in quest’opera di sensibilizzazione un ruolo importante è stato giocato dalla Chiesa, dai parroci e dai vescovi.

Insieme “le Chiese locali si scambiano informazioni sulle questioni ambientali e hanno avviato un dialogo con le istituzioni”. Infatti, dal 2014, “quando Aversa ha ospitato la nona giornata nazionale per la salvaguardia del Creato, le Chiese campane hanno iniziato un cammino comune, che è sfociato in un nuovo appuntamento nel 2015 ad Acerra. In quell’occasioneè stato lanciato un appello a un’assunzione di responsabilità per ricostruire le città, rigenerare le relazioni sociali, ridefinire un’alleanza con la terra”.Oggi, chiarisce Di Foggia, “stiamo operando per ‘costruire comunità’ e l’assunzione di responsabilità è la via per imboccare la strada di una vita rinnovata. Il disastro, infatti, è comprensibile nelle sue dimensioni solo se si considera che il tutto è avvenuto in una completa assenza di spirito di comunità. È da lì, quindi, che si riparte”. Ma, conclude, “a noi sta a cuore non solo la nostra terra: non vogliamo che succeda altrove quanto è accaduto a noi. Qui è cresciuto un grande senso etico. E, come i sopravvissuti della Shoah, le mamme che hanno perso i loro bambini per tumori e leucemie vanno a raccontare in giro le loro storie perché non ci siano altre morti innocenti.

È la voce della verità che deve circolare: insieme è una guerra che si può vincere”.

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