IMG_8867Di Lara Facchini

Leggi la prima parte con la Dott.ssa Ambra Guidotti

La dottoressa Guidotti ci spiega nella seconda e ultima parte dell’articolo l’importanza di ottenere la fiducia del disabile, instaurando un rapporto di fiducia con la famiglia e con il bambino stesso.
E per questo ci vuole la massima conoscenza delle varie disabilità e delle problematiche del “paziente”.
Un bambino è un dono, e dona tanto a chiunque gli sta vicino, e proprio per questo la cosa più importante è che per il terapista non sia un numero con cui raggiungere l’obiettivo, ma una risorsa per sé stesso, perché l’obiettivo non è solo il bambino che con il suo lavoro parlerà correttamente alla fine del percorso, ma è anche l’arricchimento personale che ogni bambino con le sue problematiche ti dà. È sicuramente questo il motto di Ambra.

«”La motivazione è alla base dell’apprendimento”. Sulla base di questo motto si creano le fondamenta di un idoneo iter terapeutico; se non c’è serenità, se non si offre curiosità, se non si premiano le iniziative, di ciascun piccolo compagno d’avventura, si può rischiare, col tempo, di perdere la sua approvazione.
Quest’ultima viene dapprima fornitaci dalla famiglia: si parla di “contratto terapeutico”, perché ha tutte le caratteristiche vere e proprie di un contratto e ogni facente parte dovrebbe richiederlo per intraprendere un percorso consapevole e condiviso.
Dopo un primo incontro di conoscenza e raccolta anamnestica, di prassi, e da cui scaturiscono spesso già molte valide informazioni, si fa finalmente la conoscenza del bambino, e non sempre tutto è così facile, perché il piccolo non ci conosce, non conosce il nostro ambiente, non vuole separarsi neppur momentaneamente dalla mamma ed è qui che la nostra propositività e il gioco avranno il loro ruolo primario: attirare la sua attenzione, attirare la sua motivazione, ed è sempre qui, che, seguendo piaceri, interessi e bisogni del bambino, avrà avvio ciò che sarà l’anello collante per antonomasia: LA RELAZIONE.
Una relazione con i caregivers e una con il bambino, la prima basata su fiducia e conoscenza degli obiettivi e delle modalità e strumenti per raggiungerli, la seconda basata su fiducia, rispetto del proprio essere, in ogni sfumatura e affetto, tanto affetto.
Gli obiettivi, che sono poi il focus di genitori e terapisti, derivano da una prima valutazione, momento di fondamentale importanza per cogliere i tanto citati punti di forza e debolezza del singolo, le modalità espressive della difficoltà, il grado di invasività della stessa.
Ogni iter terapeutico è differente dall’altro e non solo perché, ovviamente, ogni bambino con le proprie peculiarità ne costruisce uno a sé, individuale e unico, ma anche perché ogni età e disabilità ha le proprie caratteristiche e gradi.
Svolgere il proprio lavoro con disabilità come ritardi mentali, tipici delle sindromi più comuni, o con disturbi comunicativo-relazionali, implica, sempre, un grande bagaglio di energia, direttamente proporzionale al carico richiesto al bimbo. Ciò che può sembrar banale nell’evoluzione normotipica, qui non lo è, il linguaggio è investito dapprima nei suoi prerequisiti, come attenzione condivisa, intenzionalità comunicativa, forme di comunicazione verbale e non, potenziamento della comprensione (che precede sempre la produzione), il tutto quasi esclusivamente, soprattutto nelle prime fasi, in attività di gioco, in particolar modo il gioco simbolico (far finta di..), correlato con la capacità di denominazione, in routines sociali e gioco gradualmente più strutturato.
Diverso il discorso in caso di disordine fonologico o disturbi dell’apprendimento; in questi casi, infatti, l’integrità intellettiva permette un lavoro più specie-specifico, supportato dalla consapevolezza contestuale e metacognitiva del bambino, che permette risoluzioni più o meno veloci relativamente al grado di compromissione della abilità e alla concretizzazione dei suggerimenti e materiale fornito a casa per promuovere e facilitare la generalizzazione degli apprendimenti.
Da qui la necessità viva di risaltare il ruolo della scuola, degli insegnanti di sostegno e di quelli di classe, nell’accogliere e conoscere ogni bambino, soprattutto ogni bambino con difficoltà, di essere estensione dell’iter riabilitativo e contesto naturale e facilitante di appoggio delle abilità.
Si parla di età evolutiva, conosciamo, accogliamo, promuoviamo, arricchiamo l’evoluzione dei nostri piccoli, qualunque sia il loro punto di partenza, fiduciosi del loro arrivo!».

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