personeDi M. C. Biagioni

Un reddito base per tutti i cittadini di almeno 2.500 euro al mese. Che si lavori o meno. E con scale di equivalenza diverse dalla nascita fino alla morte. Sembra un’utopia, invece in Svizzera potrebbe diventare realtà. Il 5 giugno mentre in Italia la battaglia elettorale si giocherà sulle amministrative, al di là delle Alpi, i cittadini della Confederazione elvetica saranno chiamati a esprimersi su una proposta di iniziativa popolare che, se approvata,

farebbe della Svizzera il primo Paese a cambiare radicalmente il sistema di welfare perché il reddito di base sostituirebbe molte delle protezioni sociali tradizionali.

Si chiama tecnicamente “reddito di base incondizionato” (Rbi) ed è presentato come uno strumento che mira a rendere possibile che tutta la popolazione

“possa condurre una esistenza dignitosa e partecipare alla vita pubblica anche senza prendere parte alla vita lucrativa”.

La proposta di 2.500 franchi al mese è una somma di tutto rispetto ma che in Svizzera rappresenta un reddito di poco sopra a quello della soglia di povertà, che è di 29.501 franchi svizzeri all’anno, molto lontano dal salario medio che è di 6.427 franchi al mese.

Ma c’è un ma. Dai sondaggi pubblicati dalla stampa svizzera, la maggioranza degli svizzeri è per il no. Come è possibile? L’introduzione del Rbi – spiega Renzo Sbaffi, direttore del Corriere degli italiani – comporta un costo di realizzazione molto elevato. Si parla di circa 208 miliardi di franchi, equivalente ad un terzo del Pil dell’intero paese e per finanziarlo si ipotizza un aumento dell’iva e delle imposte dirette. E poi – fa notare il direttore – a schierarsi contro la proposta è stato lo stesso governo elvetico che mette appunto nel mirino l’aumento delle tasse. Di solito la popolazione segue le indicazioni date dal governo. Ma ciò che preoccupa il direttore Sbaffi è la “cultura” che si nasconde dietro all’ iniziativa popolare e cioè quel “disincentivo alla ricerca del lavoro” che non fa parte della “psicologia” del popolo svizzero propenso piuttosto a “lavorare, partecipare alla vita sociale del paese e non soltanto sopravvivere”.

L’idea – spiega l’economista svizzero Luigi Crivelli del Supsi di Lugano – è quella di dare un reddito di cittadinanza, un contributo universale dato a tutti, anche ai ricchi”. L’iniziativa popolare non regola i dettagli. Esprime “uno spirito di legge” che dovrà poi – in caso di approvazione da parte degli elettori – essere regolato dal Parlamento.

 “Se passasse questa legge, si chiuderebbero tutte le assicurazione sociali”.

.Il Reddito di base incondizionato si sostituirebbe infatti alla maggior parte delle prestazioni sociali, dai sussidi allo studio e familiari, alla assicurazione per la disoccupazione, ecc. “Si passa così da un modello molto differenziato – fa notare l’esperto – ad un sistema appiattito, con uno smantellamento dello stato sociale ed una forte semplificazione: tutti prendono la stessa cifra, ricchi e poveri” . Inoltre, “ci si aspetta anche che il mercato del lavoro reagisca con un abbassamento del salario e l’attività lavorativa sarà rinumerata meno rispetto ad oggi perché il prezzo di riserva del lavoro è già abbassato dal fatto che uno ha già un reddito di cittadinanza da cui parte”. Luigi Crivelli fa parte del team internazionale della Economia di Comunione sostenuta dal carisma dei focolari, che fa della “dignità del lavoro una bandiera culturale”. Anche sotto questa luce, il reddito minimo incondizionato non convince perché – osserva Crivelli – “svaluta l’importanza del lavoro che non può essere considerato solo per il suo aspetto di reddito” e cosa ancora più grave, “potrebbe virtualmente danneggiare l’accesso delle donne al mercato del lavoro” disincentivando il loro impegno nel sociale, incoraggiando quello di cura della casa e dei figli.

Sulla questione, né la Conferenza episcopale svizzera né le Chiese protestanti hanno preso posizione perché – spiega al telefono il portavoce dei vescovi svizzeri Walter Müller – l’iniziativa popolare chiede  un parere tecnico che non ha implicazioni etiche tali da rendere necessario un pronunciamento da parte delle Chiese. Franco Plutino, presidente delle Acli Svizzera, ritiene invece che l’iniziativa popolare possa “scuotere un pochino le acque sulla tematica del reddito minimo e gettare un sasso nello stagno” per ripensare il sistema assistenziale svizzero.

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