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Le finanze dei religiosi languono: è tempo di trasparenza e sobrietà nella gestione economica

religioseDi Riccardo Benotti

Se le regole sono chiare, in materia di gestione economica e finanziaria, la loro attuazione spesso non lo è. Per questo si rende necessario un più forte impegno al fine di garantire la trasparenza e rifuggire la tentazione del potere, ricordando che i poveri sono al centro dell’azione della Chiesa. È la convinzione diffusa tra i religiosi, che vedono riuniti in questi giorni a Roma i massimi vertici di oltre cento Congregazioni per l’Assemblea semestrale dell’Unione superiori generali.

L’attenta amministrazione del patrimonio degli Istituti è una priorità che riguarda i 200mila consacrati sparsi per il mondo, in crisi di vocazioni ma anche di finanze.

Una difficoltà che si riscontra nella diffusione della pratica di accorpare Ordini simili per carisma e nell’opportunità sempre più concreta di dismettere strutture storiche. In taluni casi, e per famiglie religiose assai grandi, la stessa casa generalizia potrebbe presto essere venduta per investire risorse altrove e alloggiare i confratelli ridotti numericamente in comunità ritagliate su misura.

Fatica della testimonianza. La centralità dei poveri nella missione della Chiesa, d’altronde, sollecita a ripensare le abitudini consolidate e ad avere coraggio per operare scelte dolorose. In un messaggio al simposio internazionale sulla gestione dei beni ecclesiastici degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, Papa Francesco ricordava che “non serve una povertà teorica, ma la povertà che si impara toccando la carne di Cristo povero, negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini”. Una “povertà amorosa” che sia “solidarietà, condivisione e carità” e si esprima “nella sobrietà, nella ricerca della giustizia e nella gioia dell’essenziale, per mettere in guardia dagli idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita”. Tradurre questi orientamenti nella vita comunitaria, però, non è così facile e

talvolta si fa meno fatica a vivere il voto di povertà a livello personale che istituzionale:

“È più difficile per noi dare una simile testimonianza quando si vedono le nostre costruzioni, a volte centenarie o pluridecennali. Tale difficoltà – ammette don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore dei Salesiani – è più evidente quando si tenta di attualizzare le nostre opere per rispondere alle sfide e alle esigenze di oggi, per esempio nell’ambito dell’educazione o della prevenzione dei rischi”.

Errori nell’amministrazione. In una lettera circolare della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica sulle linee orientative per la gestione dei beni, si suggerisce di definire quali opere e attività portare avanti, quali eliminare, lasciare o modificare, quali nuove frontiere affrontare.

Pianificare le attività, parlare di preventivi e di bilanci non solo nelle opere ma anche nelle comunità religiose, sono prassi che devono essere consolidate. Così come l’applicazione di sistemi di monitoraggio nelle attività in perdita, prestando attenzione alla sostenibilità e abbandonando la mentalità assistenzialista.

Una richiesta è rivolta anche agli economi affinché rendano conto periodicamente ai superiori maggiori e ai loro Consigli, documentino le transazioni e i contratti, archivino le pratiche: “Non è raro, lo sappiamo per esperienza, incontrare superiori locali o provinciali che sono, di fatto, ‘prigionieri dei propri economi’, i quali sono i veri detentori del potere”, osserva il rettor maggiore dei Salesiani. Non di rado, poi, “si commettono grossi errori, vendite inadeguate, truffe nella firma di accordi o contratti, non per cattiva volontà, ma in generale per il desiderio di non danneggiare il proprio Istituto o Congregazione, o anche perché la gestione economica non è il nostro forte e oggi è più che mai un terreno delicato, difficile e pericoloso”. È importante, pertanto, avere “persone di fiducia e comprovata fedeltà” senza temere di affidare ai laici incarichi di amministrazione finanziaria.

Povertà istituzionale. La deformazione del clericalismo diffusa nella Chiesa e tra i consacrati conduce spesso a ritenere che l’essere presbiteri sia un onore e uno status che porta autorità, potere in accesso a mezzi economici da maneggiare. “Anche la Congregazione, e non solo i singoli confratelli, dovrebbe fare il voto di povertà”, precisa padre Heinz Kulüke, superiore generale dei Verbiti: “Spesso i membri vivono una vita semplice, ma le strutture in cui risiedono, e che non vogliono cambiare in nessun modo, costano una fortuna”.

La sollecitudine e la cura per i poveri, in questo senso, possono essere “un impegno comune” che aiuta “a formare una comunità religiosa e a darle vita”.

Il numero dei benefattori, inoltre, è in netta diminuzione e rappresenta una preoccupazione in molti Paesi: “Questo calo richiederà di intensificare localmente l’animazione della missione, la trasparenza nella destinazione delle donazioni, la raccolta di fondi portata avanti in modo creativo e professionale e la ricerca di modi nuovi per accedere ai sostentamenti economici”. Infine, un ammonimento ai religiosi che detengono conti privati: “Tutti i confratelli sanno che ciò viola il nostro voto di povertà e le nostre Costituzioni. Uno dei compiti dei leader sarà quindi riguadagnarsi la fiducia dei confratelli. E i confratelli dovranno avere la certezza che, in caso di necessità, l’amministrazione della Congregazione sarà presente per aiutare anche con le finanze”.