San PietroDi Luca Marcolivio

Pregare sempre, senza stancarsi mai” (Lc 18,1-8). Tale principio evangelico, enunciato in una celebre parabola di San Luca, è stato al centro della riflessione di papa Francesco durante l’Udienza Generale odierna.

Per comprendere bene la vicenda, è opportuno tener conto dello sfondo storico-culturale. Uno dei due protagonisti è il giudice, “personaggio potente, chiamato ad emettere sentenze sulla base della Legge di Mosè”.

La tradizione biblica, ha ricordato il Santo Padre, “raccomandava che i giudici fossero persone timorate di Dio, degne di fede, imparziali e incorruttibili (cfr Es 18,21)”.

Il giudice della parabola, al contrario, “non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno”; era “senza scrupoli” e non teneva conto della legge ma solo del “suo interesse”.

Coprotagonista della vicenda è una vedova: le vedove, assieme agli orfani e agli stranieri, erano “le categorie più deboli della società” e i loro diritti, pur assicurati dalla Legge, potevano essere “calpestati con facilità perché, essendo persone sole e senza difese, difficilmente potevano farsi valere”.

La vedova ‘importuna’, allora, di fronte all’indifferenza del giudice, ricorre alla sua unica arma: “continuare insistentemente a importunarlo presentandogli la sua richiesta di giustizia”, che alla fine otterrà. Il giudice capitolerà, non perché “mosso da misericordia, né perché la coscienza glielo impone” ma per quieto vivere e per togliersi il “fastidio” di quella anziana donna assillante.

La conclusione di Gesù, ha spiegato Bergoglio, è la seguente: “se la vedova è riuscita a piegare il giudice disonesto con le sue richieste insistenti, quanto più Dio, che è Padre buono e giusto”, farà prontamente giustizia ai suoi eletti e non li farà aspettare a lungo (cfr. vv.7-8).

Ciò non significa che la preghiera sia una “bacchetta magica” e che Dio esaudisca le nostre preghiere sempre “nei tempi e nei modi che vorremmo”, ha puntualizzato il Pontefice. Per questo Gesù esorta a pregare “senza stancarsi”, in modo da “conservare la fede in Dio e ad affidarci a Lui anche quando non ne comprendiamo la volontà”.

Gesù stesso sperimenta tutto questo, offrendo al Padre “preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime”, perché lo salvi dalla morte (cfr. Eb 5,7). Morendo in croce, questa preghiera sembra aver avuto un esito fallimentare: invece, “Dio ha davvero salvato Gesù dalla morte dandogli su di essa completa vittoria, ma la via percorsa per ottenerla è passata attraverso la morte stessa”, ha commentato il Papa.

Quando prega angosciosamente nel Getsemani, perché il Padre gli tolga il “calice” della sofferenza, Gesù chiede, al tempo stesso, che sia fatta la Sua volontà: allora “l’oggetto della preghiera passa in secondo piano; ciò che importa prima di tutto è la relazione con il Padre”.

Il sorprendente effetto della preghiera è quindi evidente: essa “trasforma il desiderio e lo modella secondo la volontà di Dio, qualunque essa sia, perché chi prega aspira prima di tutto all’unione con Lui, Amore misericordioso”.

La parabola termina con una domanda: “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (v.8). Ciò implica che “non dobbiamo desistere dalla preghiera anche se non è corrisposta – ha commentato Francesco -. È la preghiera che conserva la fede, senza di essa la fede vacilla”.

Da qui la preghiera finale: “Chiediamo al Signore una fede che si fa preghiera incessante, perseverante, come quella della vedova della parabola, una fede che si nutre del desiderio della sua venuta”, per sperimentare “la compassione di Dio, che come un Padre viene incontro ai suoi figli pieno di amore misericordioso”.

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