Di Riccardo Benotti

SEMINARIO REGIONALE MARCHE – “Trovare preti disponibili a servire come educatori in seminario, e a prepararsi per questo ministero, anche a causa della resistenza dei vescovi. Accogliere candidati che non sono stati accompagnati in un buon discernimento, hanno una debole esperienza di fede, non vengono dalle parrocchie e dalla vita diocesana, presentano immaturità non risolte a livello identitario, relazionale e affettivo. Coniugare la specificità della formazione in seminario con l’orizzonte del tirocinio pastorale”. Don Luciano Paolucci Bedini elenca con fermezza i disagi che più si avvertono nel Pontificio Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”. Le Marche (77 alunni), sottolinea, “hanno bisogno di preti molto vicini alla gente, uomini di fede forte e di preghiera, capaci di annunziare la Parola e di coniugarla con la vita di oggi, disponibili a lavorare con chiunque, prima di tutto con gli altri preti e con i laici”. Eppure, i sacerdoti che escono dal Seminario “hanno chiaro il fondamento del ministero e l’orizzonte della missione della Chiesa e del prete, ma faticano tanto a trovare un loro posto nella pastorale di oggi, e ad affiancarsi ai preti più grandi”. D’altra parte, aggiunge, è decisiva la fase iniziale che troppo spesso si risolve in “brevi colloqui dei candidati con i loro parroci, i loro vescovi o gli incaricati di pastorale vocazionale”:

“A volte qualcuno si presenta direttamente in seminario maggiore chiedendo di essere ammesso, come fosse una università. Più raramente ci sono cammini distesi e profondi di accompagnamento e di discernimento spirituale e vocazionale. Per fortuna c’è il passaggio del tempo propedeutico che ci permette di verificare i cammini personali, ma non basta senza il lavoro previo”.

Pontificio Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”I 30 seminaristi e 5 propedeuti di Ancona, in linea con la media degli ultimi anni, sono in maggioranza adulti con “esperienze importanti alle spalle, non sempre positive”: “Più maturi e disponibili per alcune dimensioni, ma anche a volte feriti dalla vita, non riconciliati con il loro passato, e più rigidi rispetto alla proposta formativa e all’accompagnamento personalizzato dei formatori. I giovani sono la minoranza e forse ‘troppo’ giovani per le alte esigenze di questo cammino”.

Quanto alla formazione permanente, “è importante e strategica, ma non abbiamo ancora compreso cosa sia o debba essere concretamente.

I riferimenti sono molteplici e positivi, ma l’esperienza è ancora attestata su forme antiche e poco coinvolgenti. I seminaristi ne sentono parlare, ma non la vedono nella realtà dei presbiteri che li attendono; conoscono l’importanza della formazione, ma non trovano continuità tra il percorso di seminario e l’approdo in diocesi”.

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1 commento

  • Giuliano Pucci
    10/05/2016 alle 17:07

    Per quel poco (pochissimo) che trovo nelle chiacchierate con i più giovani e i più anziani, è tutto condivisibile, da parte mia, aggiungerei una piccola cosa:a fine studi, prima di essere "ordinati" sarebbe (a mio avviso) cosa buona far frequentare un mini corso di ragioneria. Questo per poter districarsi abbastanza bene nelle pratiche burocratiche, una volta parroci.

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