SerbiaIva Mihailova

È alla ricerca di una conferma elettorale per andare avanti con le riforme verso l’Unione europea il premier serbo Alexander Vucic. Il 24 aprile il Paese balcanico torna alle urne, e il capo del governo di Belgrado sta cercando di ottenere una fiducia ampia. Ma i serbi fanno fatica a credere che l’Europa migliorerà il loro standard di vita e nel frattempo cresce la popolarità del leader radicale Vojislav Seselj, recentemente assolto dall’Aja. “Il dialogo con l’Occidente deve continuare”, sostiene dal canto suo l’arcivescovo di Belgrado, mons.Stanislav Hocevar.

Fiducia e riforme dolorose. A metà della legislatura, in Serbia si terranno di nuovo le elezioni parlamentari anticipate, previste per domenica 24 aprile. Il voto, come nel 2014, è convocato sotto richiesta del premier conservatore Alexander Vucic, leader del Partito del progresso serbo (Sns) e uomo forte della politica nazionale, che finora, insieme ai socialisti del ministro degli esteri Ivica Dacic, godeva di una schiacciante maggioranza di oltre il 50% nel parlamento.Il motivo ufficiale del voto è ottenere maggiori consensi e seggi in vista delle riforme dolorose nel campo economico che la Serbia deve intraprendere per rispondere ai criteri dell’adesione europea (i negoziati sono iniziati nel 2014).

Sfruttare la popolarità. “Il premier Vucic capisce bene che dopo due anni al governo la sua benché alta popolarità – spiega al Sir l’analista politico Dragan Janjic – non è così forte come prima e alla fine del mandato sarebbe diminuita ulteriormente”. “Con le nuove elezioni – sostiene – si guadagna tempo e fiducia, sfruttando i livelli alti di consenso di cui gode al momento”. In effetti, come nel 2014, è scontato che il vincitore sia Sns con Vucic ma la domanda è se riuscirà ad avere più della metà dei seggi in parlamento e quale eventuale partner sceglierà per il nuovo governo.

Le previsioni. I recenti sondaggi dell’agenzia Faktor plus dimostrano un netto vantaggio per Sns, dato al 50,9% dei consensi, seguito a larga distanza dai socialisti con 12,3%. Al terzo posto, con il 7,8% appare il Partito radicale serbo (Srs) guidato dal nazionalista Vojislav Seselj, assolto in prima istanza dal Tribunale dell’Aja in relazione ai fatti della guerra degli anni ‘90. Lo sbarramento del 5% potrebbe essere superato inoltre dal Partito democratico (Ds), accreditato del 5,7%, dall’altra coalizione nazionalista Dss-Dveri (5,1%), mentre i socialdemocratici dell’ex presidente Boris Tadic raggiungerebbero appena la soglia per entrare nel parlamento.

Nazionalismi emergenti. Secondo l’analista Janjic, “in questa campagna elettorale si nota fortemente una riabilitazione dello “spirito degli anni Novanta” e della politica di Milosevic e di Seselj che ora è molto popolare; il verdetto dell’Aja gli ha dato un alone di vincitore. “Non si tratta di una nostalgia per la guerra o per la Grande Serbia”, spiega il politologo, “ma la gente è delusa dal fallimento dei nuovi politici che non riescono a migliorare lo standard di vita delle persone”. Anche l’arcivescovo cattolico di Belgrado,mons. Stanislav Hocevar, sostiene che “quando c’è la crisi economica, cresce subito il pericolo di nazionalismi e del radicalismo, mentre in momenti di emergenza lo sguardo tende verso l’Oriente”.Il presule afferma che “in Serbia c’è una forte disposizione verso il cammino europeo ma i problemi economici sono parecchi, aumenta anche l’emigrazione giovanile nell’Occidente e in questi punti il futuro governo deve intervenire”.

“Sia Europa che Russia”. Secondo mons. Hocevar “è cruciale che l’Occidente continui il dialogo a tutto campo con la Serbia, incoraggiando il Paese nel lungo e faticoso cammino verso l’Ue ma anche guardando con maggiore sensibilità nei confronti della dimensione cristiana del popolo serbo, soprattutto quella orientale, che potrebbe contribuire alla nuova visione dell’Europa unita”. Secondo un recente sondaggio l’euroscetticismo in Serbia cresce moltissimo mentre molte persone vedono con favore l’amicizia tra Belgrado e Mosca. Infatti, Janjic afferma che “Vucic segue il principio ‘sia Europa che Russia’, consapevole che per la Serbia non c’è altra scelta fuori dall’Ue ma non tutti i suoi seguaci ne sono convinti”. Nel frattempo, la Croazia ha bloccato il cammino europeo di Belgrado con la richiesta di rinuncia della Serbia alla giurisdizione sui crimini di guerra su tutto il territorio della ex Jugoslavia e una migliore rappresentanza politica della minoranza croata. Il voto di domenica dovrebbe fornire indicazioni politiche sia sul futuro della Serbia che per quello dei Balcani.

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