lavoroDi Gianni Borsa

 

Passa anche attraverso il dialogo sociale la costruzione di un’Europa “àncora di democrazia e di pace”, in grado di svolgere un ruolo propulsore oltre i propri confini per l’intera regione mediterranea e mediorientale. Un’Europa che forse “non ha piena consapevolezza di sé” e a cui si guarda con “estrema attenzione”, persino con occhi ammirati, dai Balcani e dal Nord Africa. Il seminario internazionale intitolato “I Paesi dell’Europa mediterranea e il dialogo sociale: le sfide del lavoro, dell’immigrazione e della coesione sociale per cambiare il modello di società”, svoltosi a Tirana nei giorni 15 e 16 aprile, promosso da Mcl, Efal ed Eza, ha messo attorno a un tavolo studiosi, politici, sindacalisti e rappresentanti di associazioni e movimenti di 15 Paesi.

Fratture da ricomporre. I delegati al convegno provenivano da Albania, Italia, Austria, Slovenia, Montenegro, Spagna, Olanda, Portogallo, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Cipro, Malta, Marocco, Serbia, Kosovo.Il confronto si è concentrato sui modelli di sviluppo economico, sul ruolo della società civile, così pure su quello delle imprese e dei sindacati, sulla funzione più volte definita “determinante” della scuola.La “cronaca” ha attraversato la due-giorni di Tirana dove hanno avuto eco i pressanti flussi migratori (sabato l’occhio si è portato a Lesbo e alla visita fra i rifugiati di Papa Francesco e dei Patriarchi ortodossi Bartolomeo e Hieronymus), il permanere degli effetti della crisi economica soprattutto sull’occupazione, così pure il terrorismo e le guerre, con la minaccia costante dell’Isis… Un quadro articolato della situazione è stato tracciato da Vittorio Emanuele Parsi, esperto di geopolitica dell’Università Cattolica di Milano, soprattutto laddove ha segnalato “le quattro linee di frattura” che segnano attualmente l’Ue e gli Stati europei e che si riverberano sul ruolo internazionale dell’Ue: “La frattura tra dimensione economica e dimensione sociale dello sviluppo; quella tra Paesi creditori e debitori, ovvero tra nord e sud” del continente; “quella tra ovest ed est”, ovvero tra la “vecchia” e la “nuova” Europa; infine la distanza “tra Bruxelles e gli Stati membri”, ovvero “tra il tentativo federativo” in atto in sede comunitaria e la “sovranità nazionale ribadita a ogni passo dai governi” dei Ventotto. Quest’ultimo elemento tende a imbrigliare i processi politici e le risposte comuni alle sfide che premono sulla stessa Ue e sul vicinato orientale e mediterraneo.

Riforme profonde. Il presidente del Movimento cristiano lavoratori, Carlo Costalli, si è invece soffermato sul “dialogo sociale, culturale e interreligioso”, considerato, nei suoi vari aspetti, “il perno di questo cammino verso l’integrazione, necessaria e positiva, dei Balcani nell’Unione europea”. Costalli ha osservato: “Purtroppo in vari Paesi europei” e in tante “parti politiche registriamo voci nazionalistiche molto forti. Noi invece siamo convinti che senza la mediazione europea non si superano le divisioni”. Affermazione che vale sia per i Paesi al di fuori che per quelli che fanno parte della stessa Ue.Il percorso orientato all’adesione “richiede però ai Paesi balcanici, dall’Albania alla Serbia, dalla Bosnia fino al Kosovo, di sviluppare riforme profonde” il cui esito andrebbe “a tutto vantaggio dei cittadini di questi Paesi”.

Istruzione, valore aggiunto. Il ministro del welfare e della gioventù della Repubblica d’Albania, Blendi Klosi, è entrato nello specifico delle riforme chieste ai Paesi che si candidano a far parte dell’Unione, ritenendole una “opportunità di crescita” per i rispettivi Paesi. Si tratta, a suo avviso, di trasformazioni profonde “per avvicinarci all’Unione”, ma anche per “ammodernare i nostri Paesi”. Riforme orientate a creare equità e a realizzare servizi per i cittadini nel campo della scuola, della sanità, della previdenza. Klosi, ministro di un Paese demograficamente molto giovane, si è soffermato sul “valore essenziale dell’istruzione e della formazione professionale”, così da “preparare i giovani alle reali esigenze delle imprese e del sistema produttivo”, rendendoli “competitivi per il mercato europeo del lavoro”.

La dimensione identitaria e religiosa. Europeismo e dialogo sociale, dunque, ma ancheimpegno per la promozione dei diritti (ancora molte volte mortificati nella regione mediterranea e nei Balcani), per “un lavoro degno”, per un’economia “reale, che produca posti di lavoro”a differenza – è stato detto da diversi relatori – dell’economia fondata solo sulla speculazione finanziaria. A Tirana come a Belgrado, a Sarajevo per giungere alle sponde africane del Mediterraneo, traspare l’esigenza di saldare le riforme democratiche con quelle economico-sociali. Forte e diffusa la preoccupazione per i fenomeni migratori e insistente il richiamo alla dimensione identitaria: da qui l’attenzione reiterata alla storia, ai valori, alle religioni e al dialogo tra esse (fra i partecipanti erano presenti cattolici, ortodossi e musulmani). Franjo Topic, presidente di Napredak (Bosnia-Erzegovina), ha riassunto: “Non esiste guerra santa, c’è solo la pace santa”.

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