lavoroDi Luigi Crimella

Un prodotto interno lordo (Pil) stimato in crescita da qui all’anno 2019 dall’attuale livello dell’1,2% annuo fino all’1,4%. La disoccupazione che dovrebbe scendere, sempre in cinque anni, dall’11,9% di oggi al 9,6%. E, ancora, un debito pubblico che potrebbe contrarsi dal 132,4% odierno al 123,8% nel 2019: sono questi i dati salienti contenuti nel “Documento di economia e finanza” (Def), presentato nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi insieme al ministro Pier Carlo Padoan. Per chi volesse cimentarsi nella lettura dettagliata delle considerazioni e dei numeri forniti a stampa e pubblica opinione, è possibile accedere al testo definitivo del Def 2016 sul sito internet dello stesso ministero economico (indirizzo www.mef.gov.it, nella sezione documenti). Si tratta di diverse centinaia di pagine, che vanno dal “Programma di stabilità 2016”, a quello nazionale di riforma, alle analisi sulle tendenze della finanza pubblica e a diverse sottosezioni su argomenti molto importanti per il rilancio dell’Italia: ad esempio le infrastrutture, la “spending review”, la logistica, le spese di Stato e Regioni, la tutela dell’ambiente. Parlare di “Def”, oggi, in un momento di difficoltà socio-economica che non accenna a migliorare, come dimostrano i 2 milioni di disoccupati ufficiali ma soprattutto le centinaia di migliaia di giovani, spesso “super-qualificati” ma senza lavoro, esige un richiamo. Lo ha fatto la scorsa settimana il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, quando ha ammonito sul rischio di avere una “generazione perduta” di giovani europei, che potrebbe rimanere per sempre fuori dal lavoro. Il richiamo è quello a tutti i cittadini, perché ci sia un crescente impegno comune a documentarsi, ad essere consapevoli in maniera il più possibile approfondita, sulla complessità della crisi in cui ancora ci troviamo. La lettura dei testi sul “Def”, da non lasciare solo ai politici “addetti ai lavori”, può aiutare.

I cittadini, infatti, sono chiamati a farsi carico, non solo nel momento in cui scelgono i propri rappresentanti in Parlamento, ma durante la vita di tutti i giorni, di temi che toccano tutti molto da vicino: basti pensare a fisco, privatizzazioni, sviluppo digitale, riforme del lavoro, pensioni, ammodernamento della pubblica amministrazione, finanza per la crescita e così via.

E il “Def” si occupa di tutte queste cose, nel senso che costituisce il progetto politico-economico generale del governo in carica, che dovrà essere messo in pratica da qui all’autunno in vista del varo della “legge di stabilità” per il 2017.

L’Europa ci guarda come “vigilati speciali”. Da un punto di vista procedurale, il “Def” con tutti i suoi allegati dovrà essere discusso dalle Camere che potranno esprimersi, in chiave politica, sui suoi contenuti e scelte. Quindi, entro il 30 aprile, sarà inviato al Consiglio dell’Unione Europea e alla Commissione.

L’Italia – va ricordato – rappresenta un “vigilato speciale” da parte della Ue, per il nostro altissimo debito pubblico e per la richiesta, contenuta nel “Def”, di poter accedere a un maggior deficit nel 2017 per 11 miliardi.

Tale richiesta, che qualcuno potrebbe giudicare malevolmente come la “solita Italia spendacciona”, si giustifica da parte del Governo col fatto che il nostro paese rispetta ampiamente il vincolo del Trattato di Maastricht che fissa al massimo del 3% il deficit rispetto al Pil: noi siamo al 2,3%, mentre – per fare degli esempi – la Spagna sfora ampiamente tale limite collocandosi al 4,5% e la Francia è al 3,8%. Quindi c’è chi è più spendaccione di noi! Se gli sforzi in corso per ridurre, sia pure molto lentamente, il nostro debito pubblico, sono da apprezzare, a scusante della richiesta di “sforare” di altri 11 miliardi c’è anche la cosiddetta “emergenza migranti”. Al momento, si sottolinea nel “Def”, il nostro paese è molto esposto su questo fronte, per i noti motivi geografici, e quindi la richiesta è di compensare in qualche modo l’imponente impegno di accoglienza messo in atto, soprattutto nelle regioni meridionali e poi con la ricollocazione dei richiedenti asilo in tutta Italia.

Investimenti e riduzione del carico fiscale. La scelta del governo Renzi, con questo documento programmatico, è quella di

puntare sugli investimenti pubblici e privati, con la speranza che una accresciuta spesa nelle infrastrutture (ad esempio l’annunciato programma sulla “banda larga” di internet e un gruppo di “grandi opere”), possa ridare fiato anche all’occupazione.

Pur con la ridotta capacità di spesa, tali investimenti sono previsti in aumento del 2,2% quest’anno e poi del 3%, 3,2% e 2,4% nei tre anni successivi. Si parla anche di “riduzione del carico fiscale” (soprattutto per le imprese con Irap e Ires ma anche per le famiglie), che tuttavia rimane molto elevato rispetto alla media dell’Unione Europea: infatti oggi è calcolato al 44,2% del Pil e in cinque anni si prevede un calo al 42,9% (quindi soltanto di 1,3 punti). Altri paesi europei viaggiano a livello del 5-10% in meno, e ciò rende l’attività economica e la capacità di spesa molto più snelle e incoraggianti.

Profittare del “bazooka” della Bce. Qualche considerazione merita anche il discorso sulla discesa del debito pubblico, che dal 132,7% del Pil dello scorso anno calerà al 132,4% nel 2016 e al 130,9% nel 2017. Come si vede, sono piccole riduzioni, non in grado di abbattere la “montagna” del nostro debito che fa molta paura, soprattutto ai partner europei. A questo andamento – dice il governo – contribuiranno le privatizzazioni i cui proventi sono previsti in misura pari allo 0,5% del Pil l’anno per il periodo considerato. Cosa verrà messo in vendita? In lizza ci sarebbero le Ferrovie dello Stato, l’Enav, Grandi Stazioni, Stm e altri beni immobili di proprietà del demanio, molto polverizzati sul territorio ma anche – a quanto pare – molto “appetibili” per investitori grandi e piccoli. Il “Def” ci consegna quindi un’immagine della nostra Italia stretta nella morsa tra una crescita economica anemica, tendenzialmente più bassa della media Ue, una disoccupazione (specie al Sud) molto forte e socialmente distruttiva, una produttività industriale che potrebbe essere più dinamica perché per fortuna rimane molto consistente il potenziale rappresentato dalle piccole e medie industrie. L’auspicio condiviso un po’ da tutti è che, se non si riesce a profittare in questi mesi del “bazooka” del denaro abbondantissimo immesso nel sistema europeo da parte della Bce, forse non ci sarà un’altra occasione per agganciare la ripresa.

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