violenzaDi Marco Testi

“Il DdC (delitto del Circeo, ndr) può essere rubricato tra i cosiddetti ‘omicidi ricreativi’, cioè che ti permettono di trascorrere un sabato tra amici o un intero weekend. In alcuni posti del mondo pare che sia il passatempo tipico dei giorni di vacanza: fatta una scorta di liquori e droga, sequestrare una ragazza e divertircisi finché non se ne ha abbastanza, o quella muore”.
Se non fosse per quella precisazione del sesso delle vittime, sembrerebbe che Edoardo Albinati stia parlando del delitto romano di via Giordani, un’altra insensata tragedia che sembra non avere spiegazioni. Si può dire di tutto del suo chilometrico, fluviale, talvolta paludoso “La scuola cattolica” (ben 1292 pagine), freccia che Rizzoli ha scoccato mirando al centro dello Strega, ma non che abbia sottovalutato la realtà. Sarà talvolta sgradevole per la presenza di turpiloqui, frasi blasfeme riportate pari pari, litanie più o meno giovanili con citazioni fedelissime di atti, organi, fissazioni sessuali, però il romanzo possiede la capacità – abbastanza rara nel panorama letterario non solo italiano –  di tenere ferma la cosa e nello stesso tempo di andare oltre.
Quarantun anni fa un branco di bravi ragazzi massacrò due ragazze che non erano ricche e potenti come loro. Una morì, l’altra si salvò, per essere uccisa anni dopo da un tumore, provata da una storia che non sembrava avere spiegazione logica. A meno che non sia vero quello che dice Albinati: “per andarsene a zonzo ad agganciare ragazze allo scopo di violentarle bisogna disporre di tempo libero, ed ecco perché gli stupratori sono in prevalenza giovani, disoccupati, nullafacenti, piccoli e medi criminali, (…), sbandati di vario genere, insomma gente che non sa come ammazzare il tempo”.

Lo scrittore non poteva leggere il futuro e perciò non poteva prevedere che dopo poco più di quarant’anni la storia di sarebbe ripetuta.  Che la noia avrebbe di nuovo colpito, assieme ad altre pulsioni, ad altri condizionamenti e ad altre “libertà”.

Al Collatino è stato lentamente ucciso un ragazzo per vedere che cosa accadeva. Forse il colpo al cuore non è stato decisivo, forse la morte è avvenuta per dissanguamento, dopo che gli erano state recise le corde vocali per evitare che si lamentasse e gridasse. Non è stata una vendetta, un agguato mafioso, una violenza sessuale, un regolamento di conti o una faida per motivi politici o per questioni di sconfinamento.
Le cause, dicono alcuni intellettuali, stanno anche nell’eccessivo benessere mal gestito, con lo sprofondamento nella noia e nel disprezzo per gli altri che, essendo meno ricchi, non si annoiano, perché a loro basta poco. Forse c’è un inconsapevole senso di invidia in quelle assurde scelte. Ha avuto fegato Albinati, perché in “La scuola cattolica” sono oltrepassati tabù epocali che facevano parte del politicamente corretto. Lo sa, noi ne siamo convinti, che

non esiste una spiegazione unica di un evento; sappiamo che quell’evento non può essere spiegato solo con Freud alla mano. O attribuendolo unicamente alla classe sociale, o al fatto di aver studiato in una scuola mancante della dimensione femminile.
È vero però che altri grandi scrittori hanno istituito una relazione tra senso di superiorità sociale e violenza gratuita, come nel caso di Thomas Bernhard costretto ad andare a scuola in Germania durante il nazismo: “In quanto austriaco, avevo grandi difficoltà a farmi valere. Ero completamente in balìa del sarcasmo dei miei compagni di scuola. Dimostrandomi tutto il loro disprezzo, i figli dei borghesi nei loro costosi vestiti mi punivano per qualcosa che io non sapevo cosa fosse”.
Albinati denuncia che alcune derive, ad esempio quella della filosofia del marchese de Sade, fatta di violenza e prevaricazione del più forte (come non pensare al Darwin di sessant’anni dopo?) vengono proprio dagli illuministi “tra le cui file Sade a conti fatti si inscrive” e dal mito di una libertà assoluta: “Nei piani del godimento individuale come dell’economia generale che governa il mondo, la sofferenza di una singola creatura è irrilevante”.

Non tutto l’illuminismo, ovviamente, porta a Sade e all’anarchia totale dei piaceri, ma dalla creazione dell’idolo della libertà –una libertà “borghese”- al sacrifico cruento a quell’idolo il passo è breve.

Senza per questo dimenticare che l’assolutizzazione del potere feudale portava ad eccessi simili. Non è un caso che l’interesse dei media (i veri creatori di cultura oggi) si sia spostato da realtà che avevano al centro insiemi (classi sociali, impegno politico) a dimensioni in cui l’individuo è atomizzato e narcisistizzato: palestra, scultura del corpo, fama e piacere a tutti i costi. Ma proprio tutti.

 

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