pilloleDi Rino Farda

Un bambino su otto, negli Usa, soffre di disturbi da deficit di attenzione e iperattività (Adhd). Nel 1987 erano molti di meno, solo uno ogni trentatrè. Il dato è impressionante e sta scatenando discussioni di ogni tipo fra studiosi ed esperti di problemi della crescita. La polemica più violenta è quella sul presunto abuso di farmaci. Secondo Marilyn Wedge, terapeuta della famiglia dell’Università di Chicago, la ragione dell’aumento di questo tipo di diagnosi deve essere cercata esclusivamente nella pratica diffusasi negli ultimi anni di prescrivere psicofarmaci anche ai minorenni.

“Prima del 1980, la somministrazione ai bambini di psicofarmaci a base di anfetamine era una pratica inaudita, inimmaginabile”,

spiega la Wedge. “Il marketing delle società farmaceutiche però è andato oltre l’immaginazione”. Un farmaco chiamato benzedrina, commercializzato a partire dal 1930 come decongestionatore nasale, è stato il grimaldello che ha aperto le porte alle anfetamine. Nel 1937, uno psichiatra, Charles Bradley, nel tentativo di alleviare il disagio di alcuni giovanissimi pazienti presso la “Emma Pendleton Bradley Home”, a Providence, Rhode Island, diede il via a una terapia farmacologica sperimentale a base di benzedrina. Bradley scrisse nel suo diario: “Il cambiamento più evidente nel comportamento si è verificato nelle attività scolastiche di molti di questi pazienti. Come uno stimolo per realizzare il più possibile. Clinicamente in tutti i casi, questo è stato un miglioramento dal punto di vista sociale”. Gli studi di Bradley sono stati ignorati nel campo della psichiatria infantile per quasi 25 anni. Ciò nonostante Bradley è stato poi riscoperto come un precursore di studi sulle anfetamine e il loro utilizzo nel disturbo da deficit di attenzione.

Le prove sulla benzedrina di Bradley hanno avuto una grande influenza negli studi moderni sui disturbi del comportamento dei bambini. “Bradley ha sempre detto che se la causa della incapacità di un bambino di concentrarsi è stress emotivo, come un trauma o una vita domestica caotica, il trattamento preferito rimane la psicoterapia”, dice la Wedge. Le case farmaceutiche, nonostante ciò, hanno subito visto nella Benzedrina un’occasione d’oro. “Perché non convincere i medici che i bambini sani, la cui iperattività e la disattenzione nascevano da stress emotivo, avrebbero potuto beneficiare della nuova anfetamina? Le aziende capirono ben presto il mercato potenziale di farmaci per calmare i bambini”, ha scritto la Wedge che è anche autrice di un libro intitolato “Una malattia chiamata infanzia”.

Dal 1970 le strategie di marketing delle aziende farmaceutiche sono diventate più invasive. Hanno svolto una vera e propria azione di lobbying su medici e psichiatri per convincerli della bonta delle loro nuovissime medicine per l’infanzia.
“Nel 1994 — ha scritto recentemente in un suo articolo la Wedge -, la quarta edizione del Manuale diagnostico DSM-IV della American Psychiatric Association, venne curata in gran parte da psichiatri che avevano legami finanziari con aziende farmaceutiche. Gli autori del DSM hanno inquadrato l’iperattività dei bambini e la disattenzione come sintomi di un disturbo del cervello biologico, per i quali il trattamento migliore è dato da farmaci stimolanti”. Gli studi sulle conseguenze di tesi della Wedge sono contrastanti. Alcune ricerche avrebbero stabilito senza ombra di dubbio che questo tipo di comportamenti infantili non sono di origine biologica. Avrebbe quindi ragione la Wedge quando dice che le diagnosi sono aumentate artificialmente al solo scopo di far aumentare proporzianalmente la vendita di farmaci. Secondo altri comparti della ricerca scientifica, invece, i disturbi del comportamento sono causati da vere e proprie malattie, da curare in tutti i modi possibili, anche con i farmaci.

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