Terra SantaDi Daniele Rocchi

“Siamo allo stremo per la violenza che coinvolge tutti, palestinesi e israeliani, musulmani, ebrei e cristiani. Soffriamo. Condanniamo ogni forma di violenza, da qualunque parte essa provenga. Condanniamo l’occupazione militare, i muri che dividono e i check point. Tutto va sanato. Siamo tutti figli di Dio e come tali dovremmo comportarci. Educhiamo i cuori a combattere l’odio e la violenza. Non possiamo continuare a vivere così”. Più che di Resurrezione, il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, parla di Calvario e di Via Crucis di una chiesa mediorientale piagata dalla guerra, dalla persecuzione, dall’esodo dei suoi fedeli, dall’instabilità politica e economica e dall’insicurezza.“Ho sempre detto – afferma il patriarca – che noi di Gerusalemme siamo la Chiesa del Calvario, ma tutto il Medio Oriente oggi è chiesa del calvario. Per i cristiani della regione, siriani e iracheni in primis, la vita è una vera Via Crucis di cui non si vede la fine”.

Incontrare Cristo nei rifugiati. Il Sepolcro vuoto di Cristo Risorto sembra lontano. Come lo è per tanti fedeli che, timorosi del clima di tensione, rinunciano a farsi pellegrini a Gerusalemme e nei Luoghi santi. Nelle viuzze del quartiere cristiano, intorno alla basilica del santo Sepolcro, i pellegrini non pullulano come in passato anche se, dice Twal, “siamo felici di accogliere quei gruppi che hanno il coraggio di venire”. Il calendario delle celebrazioni pasquali è noto e tutti coloro che hanno desiderio di pregare e fare festa “perché Cristo ha vinto la morte” sono i benvenuti nella Città santa. Il patriarca lo ripete senza sosta:

“vogliamo celebrare solennemente la Pasqua e non fare manifestazioni politiche. La gente è stanca, delusa, arrabbiata, e il rischio di qualche episodio violento esiste. Abbiamo parlato con le autorità israeliane e palestinesi perché tutto si svolga con serenità e senza tensioni.

I pellegrini vengano senza timore a festeggiare la Pasqua con noi”. Il pensiero del patriarca latino di Gerusalemme si allarga e corre ad abbracciare le comunità cristiane di Siria e Iraq. Il loro Calvario prende il nome di Stato islamico, di persecuzione, di guerra e di fuga dalle loro terre e dalle loro case. Sarà Pasqua di Resurrezione anche per questi fedeli? “Nessuno deve dimenticare il dramma dei rifugiati iracheni e siriani – dice con voce pacata ma ferma Twal – in Libano e in Giordania vivono milioni di persone fuggite dalla guerra e dalla violenza dello Stato islamico. La Chiesa locale sta facendo un grande sforzo per accogliere migliaia di rifugiati e le loro famiglie. Abbiamo aperto le chiese, le case e le scuole. Ma siamo stanchi. La nostra Chiesa da sola non ce la fa più”. Non manca una stoccata all’Europa che vuole chiudere le frontiere: “in Giordania il 20% degli abitanti sono profughi siriani e iracheni. In Italia e in Germania la percentuale di rifugiati è di gran lunga più bassa rispetto a quella di un Paese piccolo come la Giordania”. Il messaggio è chiaro e suona anche come un augurio pasquale che arriva direttamente dalla Terra Santa:

“accogliete i rifugiati. Nel cuore c’è sempre posto per chi è nel bisogno. Non possiamo lasciare sole queste famiglie, i loro bambini. Sono fuggiti perché qualcuno ha scatenato una guerra in casa loro per interesse e per armi.

Sono fuggiti per salvarsi la vita e nella fuga molti hanno incontrato la morte. Non hanno scelto la guerra. Ci sia Resurrezione anche per loro.

Facciamo rotolare dal nostro cuore e dalle nostre vite il masso che chiude il sepolcro e facciamo risorgere Cristo che oggi ha il volto di tanti rifugiati”.

Una Pasqua di misericordia. Che sia una Pasqua di misericordia, è l’auspicio del patriarca Twal. All’odio e alla violenza rispondere con la misericordia verso gli altri e la giustizia. “Le piaghe sanguinanti della nostra Chiesa trovino nel perdono, nella riconciliazione e nell’accoglienza dell’altro, il giusto balsamo. Come ci insegna Gesù. Sappiamo – dichiara il patriarca – che la sofferenza un giorno finirà e che anche per questa terra ci sarà la Resurrezione. Dobbiamo essere perseveranti nella speranza. In questo ci aiutano la vicinanza della Chiesa universale e le parole di Papa Francesco che non si stanca mai di ricordare i cristiani del Medio Oriente.

L’agonia del Signore continua nel corpo della chiesa mediorientale e dei suoi fedeli.

Ma non abbiamo il diritto di perdere la speranza. Dobbiamo continuare a tenere le braccia levate al cielo e a chiedere la pace a Cristo. Dobbiamo perdonare. Un giorno arriverà la gioia della Resurrezione e allora canteremo”.

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