LavandaZenit di Salvatore Cernuzio

Dodici piedi di diverso colore, di diversa provenienza. Piedi maschili e femminili, usati per fuggire dalla guerra, dalle violenze; per mettere in salvo il proprio bambino, portato in braccio o in grembo; per salire su un barcone nella speranza di una vita dignitosa.

Papa Francesco li lava uno ad uno, li asciuga e li bacia, per rendere presente quell’amore senza limite di Cristo che si esplica nel servizio, nel farsi ultimo. I 12 profughi del Cara di Castelnuovo di Porto, dove il Papa ha deciso di celebrare la Messa in Coena Domini, intanto piangono. Lacrime di emozione e di commozione.

Sono musulmani, copti, indù, rifugiati principalmente dall’Africa o dal Medio Oriente, ospiti e perfettamente integrati nella struttura che sorge a 30 km da Roma. L’unica italiana del gruppo è Alessandra, operatrice volontaria di Auxilium, la cooperativa che gestisce il centro dal 2014. Il suo pianto scorre a dirotto mentre il Papa le lava i piedi, e intanto scandisce un chiaro labiale: “Mamma… mamma…”, il genitore che ha perso una ventina di giorni fa.

Alcuni profughi baciano le mani del Papa. Sira, per esempio, che da musulmano riconosce nel Pontefice “un padre”. La poco più che ventenne Luchia stringe a sé il suo bambino che Francesco accarezza per una benedizione. Gli altri assistono invece con stupore a questa scena che mai avrebbero pensato di vivere, figuriamoci di esserne i protagonisti.

“I gesti parlano più delle immagini e delle parole, i gesti…”, dice Bergoglio nella sua brevissima ma intensa omelia tutta a braccio. Di gesti parla pure il Vangelo appena letto: “Due gesti” evidenzia il Papa, “Gesù che serve, che lava i piedi, lui che era il Capo che lava i piedi agli altri, ai suoi…”; e “Giuda che va dai nemici di Gesù e quelli che non vogliono la pace con Gesù a prendere il denaro con cui l’aveva tradito. Quei 30 denari…”.

“Anche oggi, qui, ci sono due gesti”, afferma il Pontefice. Il primo siamo “tutti noi insieme, musulmani, cattolici, copti, evangelici, fratelli, figli dello stesso Dio che vogliamo vivere in pace, integrati”. L’altro gesto è avvenuto tre giorni fa, a Bruxelles: “Un gesto di guerra, di distruzione, in una città dell’Europa”, denuncia Francesco, compiuto da “gente che non vuol vivere in pace”.

Ma dietro quel gesto, come dietro a quello di Giuda, c’è dell’altro. “Dietro Giuda c’erano quelli che hanno dato il denaro perché Gesù fosse consegnato”; dietro la strage del Belgio – afferma il Papa – “ci sono i fabbricatori, i trafficanti di armi, che vogliono il sangue non la pace, che vogliono la guerra non la fratellanza”.

Da un lato, quindi, “voi, noi, tutti insieme, diverse religioni, diverse culture ma figli dello stesso Padre Fraterno”; dall’altro “quei poveretti che comprano le armi per distruggere la fratellanza”.

A questa fratellanza il Pontefice esorta a mirare. “Oggi – dice – quando io farò lo stesso gesto di Gesù di lavare i piedi a voi dodici, tutti noi stiamo facendo i gesti della fratellanza e tutti noi diciamo: ‘Siamo diversi, siamo differenti, abbiamo differenti culture e religioni, ma siamo fratelli e vogliamo vivere in pace’”.

“Ognuno di noi ha una storia addosso”, osserva il Santo Padre, “tante croci, tanti dolori, ma anche un cuore aperto che vuole la fratellanza”. Perciò, esorta, “ognuno nella sua lingua religiosa preghi il Signore perché questa fratellanza religiosa si contagi nel mondo, perché non ci siano le 30 monete per uccidere il fratello, perché sempre ci sia la fratellanza e la bontà”. 

A fine Messa, dopo lo scambio dei reciproci doni, dopo la benedizione copta e un inno a Maria in lingua tigrigna, Francesco saluta i circa 900 ospiti del Cento e i volontari di Auxilium, ribadendo: “È bello vivere insieme come fratelli, con culture, religioni e tradizioni differenti. Siamo tutti fratelli, e questo ha un nome: pace e amore”.

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