MustafaDi M. C. Biagioni

Mettersi in contatto con Mustafa Edib Yilmaz è stata un’impresa difficilissima. Mustafa è un giornalista turco che lavora al quotidiano Zaman nella edizione in lingua inglese. E’ il giornale di opposizione  che con una media di 650mila copie giornaliere vantava fino a ieri la maggiore tiratura nazionale.  Venerdì scorso è stato “commissariato” dal governo turco. La polizia ha fatto irruzione nella sede del giornale, usando gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere le centinaia di manifestanti radunatisi fuori dall’edificio di Istanbul. Dopo aver sfondato il cancello, le forze dell’ordine turche sono entrate nella struttura per scortare i nuovi manager nominati dal tribunale. Sabato la nuova dirigenza ha provveduto a licenziare in tronco il direttore, Abdulhamit Bilici.

“Una pagina nera per la storia della democrazia”,

ha dichiarato il direttore prima di lasciare il suo posto. L’accusa del governo turco al quotidiano Zaman è quella di essere parte dello “Stato parallelo”, progetto attribuito al predicatore islamista Fetullah Gulen, ex amico ed oggi nemico giurato del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Le mail a Mustafa Edib Yilmaz continuano per tutta la giornata a tornare indietro. Poi in tarda serata spiega: “La nuova gestione ha cancellato il nostro account di posta elettronica. Credo che il loro obiettivo sia quello di tagliarci fuori dal resto del mondo.

“Che cosa sta per succedermi? Non lo so neanche io. Sono preoccupato”.

Nella sua prima edizione dopo il commissariamento, il quotidiano mostra una linea di forte supporto al governo Erdogan. “Attualmente – racconta Mustafa – gli amministratori non stampano le notizie che io e i miei colleghi prepariamo. Il giornale è preparato altrove e non so esattamente da chi, ma in modo del tutto filo-governativo. Stiamo ancora cercando di lavorare e rispettare i nostri contratti con la società per mostrare al mondo intero che ciò che è successo a noi è assolutamente un giro di vite politico. C’è immenso mobbing su di noi.

“Ci sono decine di poliziotti all’interno dell’edificio e decine di altre persone che non so esattamente che cosa stiano facendo”.

In redazione la tensione è fortissima ma si cerca di mantenere i nervi saldi. “Siamo esausti sotto tutta questa pressione – conferma Mustafa -. Tutti i miei colleghi, però, stanno facendo del loro meglio per mantenere la calma e non creare un clima conflittuale. Non sappiamo ciò che ci attende dopo, perché attualmente nessuno trova il suo lavoro sulle pagine del giornale. E ciò rende le persone ancora più frustrate. Non possiamo caricare nulla sulla pagina web che è scollegata e completamente inaccessibile. Hanno già cominciato a rimuovere i nostri archivi. Quasi 50 pezzi di opinione che ho scritto sono totalmente spariti!”.

La preoccupazione più forte – racconta Mustafa – è quella si “essere messi in carcere. Siamo tutti consapevoli del fatto che i nostri posti di lavoro sono andati. Stiamo cercando di non dare loro una scusa per licenziarci con disonore e poi metterci in prigione”.

“La vera informazione è quello che temono di più”. Spiega così Mustafa il tentativo del governo di Erdogan di silenziare il giornale. Ed aggiunge: “Noi, giornalisti indipendenti, siamo una minaccia esistenziale per loro, questo è il modo in cui ci vedono”. Il tutto avviene proprio nelle ore del vertice Ue-Turchia sui migranti di Bruxelles dove la Turchia ha avanzato richieste politiche e di ulteriori finanziamenti (altri tre miliardi oltre ai tre già previsti) per ridurre il flusso dei migranti verso l’Europa. Proprio a questo riguardo Mustafa pone alcuni interrogativi: “Ora l’Ue darà alla Turchia miliardi di euro per aiutare la situazione dei rifugiati. Ma chi può essere sicuro che questi soldi saranno spesi correttamente se non ci sono controlli ed un maggiore equilibrio nel paese? Senza un sistema giudiziario e mediatico indipendenti? Nessuno!”.

Mustafa conclude lanciando un messaggio all’Unione Europea. “Chiedo  all’Unione europea  di fare ciò che è anche nel suo interesse: dare priorità al processo di democratizzazione e al programma di riforma in Turchia”. E aggiunge: “Non distruggete in pochi anni quello che avete costruito in decenni!”.

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