MoroDi Gianni Borsa

“Nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa e nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”: è una delle innumerevoli, celebri e prospettiche intuizioni politiche che si devono ad Aldo Moro (1916-1978), cresciuto nelle fila della Federazione universitaria cattolica italiana, padre costituente, figura di spicco della Democrazia cristiana, più volte presidente del Consiglio dei ministri, ucciso, dopo un tragico e lungo rapimento, dalle Brigate rosse.
Moro è spesso ricordato, in sede politica e storiografica, per il suo apporto alla politica italiana. Ma egli fu anche un grande “pensatore dell’Europa”, un leader nazionale che coglieva la dimensione internazionale dei problemi,

in un’epoca, la sua, segnata dall’eredità della seconda guerra mondiale, dalla ricostruzione interna nel quadro della “guerra fredda” e della vicenda Cee. Non a caso il 24 febbraio viene intitolata proprio a Moro una sala della sede di Bruxelles del Parlamento europeo, alla presenza delle autorità italiane e Ue.
Martin Schulz, tedesco, presidente dell’Assemblea dei 28, ha dichiarato che Moro “è stato un esempio di ‘alta’ politica, in Italia e in Europa. La filosofia politica di Moro, il suo rispetto del pluralismo, la ricerca del dialogo e della sintesi politica, il rafforzamento delle istituzioni e della loro legittimità, sono un’eredità che Moro ha lasciato all’Italia e all’Unione, e che dobbiamo difendere in questo periodo di grande difficoltà per il progetto europeo”.
Dell’Aldo Moro “europeo”, con lo sguardo proteso all’Atlantico, al Medio Oriente e al Mediterraneo (quanta capacità profetica dovremmo rilevarvi oggi?), ha segnalato un ulteriore aspetto – un anno or sono, durante una commemorazione ufficiale – il presidente del Senato italiano, Pietro Grasso: “Il più grande lascito della visione internazionale di Moro è la sua capacità, che in Italia troppo spesso difetta alle istituzioni e alla politica, di guardare oltre la singola crisi, di pensare strategicamente, di considerare il medio e il lungo periodo come normale dimensione temporale della politica estera. Le criticità che oggi viviamo devono essere colte… per rafforzare gli strumenti, i processi, i valori e le potenzialità che nel Paese non mancano”. Percorso, questo, “che richiede in primo luogo una politica capace di definire e perseguire anziché i propri, gli interessi dei cittadini e del Paese nel mondo”.
Così la vicenda di Moro – cominciata a Maglie, in Puglia, il 23 settembre 1916, e terminata con il massimo sacrificio ad opera del terrorismo, a Roma, il 9 maggio 1978 – lascia un solco profondo sia in Italia sia in Europa, tanto da poter collocare Moro nell’“olimpo” dei sostenitori dell’Europa unita, con quella ispirazione cristiana che segnò profondamente la vita, il pensiero, l’azione del Moro pubblico e privato. “Nella sua vicenda – ha scritto uno dei suoi biografi, Guido Formigoni – si può leggere in controluce la storia di una classe dirigente cattolica, formatasi negli anni della dittatura, che ha gestito una delle fasi più delicate del governo dell’Italia democratica”. E ancora:“Moro fu primariamente un intellettuale, che va compreso al di là del suo ruolo politico, per le caratteristiche proprie del suo pensiero di acuto giurista e di fine interprete del suo tempo”.Un “politico” che sia anche “interprete del suo tempo”: Bruxelles rende onore a questa personalità, dei cui tratti peculiari oggi – in tempi di Europa ripiegata e sotto pressione – si avvertono la mancanza e la necessità.

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