VescovoDi Davide Maggiore

“Ricordo un seminarista che, poco tempo fa, era anche insegnante in una delle nostre scuole; il giorno in cui è stato ordinato diacono ha invitato tutta la sua classe alla cerimonia: tutti gli alunni hanno voluto partecipare, sia cristiani che musulmani, senza obiezioni da parte delle famiglie”. È anche da episodi come questo, raccontato dal vescovo di Garissa, monsignor Joseph Alessandro, che passa il ritorno alla tranquillità nella località del Kenya che lo scorso aprile fu colpita da un attacco del gruppo jihadista somalo Al-Shabaab. Furono 148 i morti, nell’università locale presa d’assalto dai fondamentalisti; quasi tutti studenti, molti cristiani, tanto che ci fu chi, anche all’estero, cominciò a interrogarsi sul futuro della Chiesa locale.

Fuga e ritorno. “Dopo quel che è successo l’anno scorso il numero dei cristiani è diminuito – riconosce mons. Alessandro – perché molti di coloro, che erano originari di altre regioni del Paese e si trovavano qui per lavoro, sono tornati alle loro case”. In particolare, prosegue, “tra i quattrocento e i cinquecento cattolici erano fuggiti, ma ora, con l’aumentare della sicurezza e della tranquillità, la maggior parte è rientrata; chi si è rifugiato per paura nella contea vicina viene comunque durante il giorno a Garissa per lavorare”. A riportare la fiducia ha contribuito anche il comportamento dei musulmani locali, quasi tutti di origine somala, che aiutano la polizia presente in città denunciando, tra l’altro, le attività sospette di cui si accorgono.

Una mobilitazione civica che non stupisce, perché mostra, come in passato, la volontà dei fedeli islamici del posto di non essere identificati con l’estremismo violento che ha colpito il Paese.

L’intera popolazione, del resto, è consapevole che la fuga causata dalla paura non ha avuto un impatto solo sulla minoranza cristiana: molti dei componenti di questa, infatti, lavoravano come operai specializzati o negozianti, o in altri settori importanti dell’economia urbana. “Tutta la città ne è stata colpita e la stessa maggioranza musulmana ne ha sofferto; come Chiesa abbiamo dovuto diminuire le celebrazioni ma anche l’assistenza caritativa e sociale che andava a beneficio della stessa comunità islamica”, conferma ancora il vescovo.

Scuole inclusive. L’esempio più evidente è certamente quello delle scuole cattoliche:

otto materne e cinque primarie, dove la percentuale di alunni musulmani, secondo i numeri forniti dallo stesso presule, varia dal 10% del capoluogo al 40%-50% di alcune aree più isolate: qui le strutture educative gestite da religiosi sono tra le poche presenti.

“I nostri istituti – specifica a questo proposito mons. Alessandro – sono aperti a tutti e spesso sono gli stessi genitori musulmani a scegliere di farli frequentare ai loro figli, per questioni di disciplina e serietà: normalmente i risultati dei nostri allievi, agli esami, sono migliori di quelli degli alunni delle altre scuole private e di quelle statali”. Anche in questo caso i numeri hanno risentito della paura seguita all’azione di Al-Shabaab:

dai 460 studenti iscritti prima degli attacchi alle scuole cattoliche del capoluogo si è passati, poco dopo l’azione rivendicata dagli estremisti, a 300, per superare di nuovo quota 400 solo con l’inizio del nuovo anno scolastico, che in Kenya avviene a gennaio.

Proprio sull’offerta scolastica vuole però puntare la diocesi per dare un altro contributo alla convivenza: in particolare, mons. Alessandro ha da poco annunciato la prossima costruzione di una scuola secondaria a Garissa. “Sono stati gli stessi genitori a chiederci da tempo di aprirla – dice – in modo che i loro figli possano avere a disposizione un istituto cattolico dove proseguire gli studi”. I benefici della nuova iniziativa, però, secondo il vescovo, possono andare ben oltre: “Se ragazzi cristiani e musulmani mangiano, studiano e giocano insieme fin da piccoli, guarderanno gli uni agli altri come amici; stare insieme significa fare esperienza diretta della fratellanza”, dice con convinzione. La stessa con cui spiega l’effetto positivo dell’istruzione contro il terrorismo: “L’educazione è l’arma più potente che esista per superare conflitti religiosi, tribalismo, ignoranza e povertà – conclude -. Chi studia potrà costruirsi una vita e non sarà attratto da chi offre una paga in cambio dell’arruolamento in un movimento radicale”.

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