foibeDi Mauro Ungaro

È uno strano fenomeno quello del Giorno del ricordo.
Passano gli anni e il trascorrere del tempo riduce sempre più il numero di coloro che ormai poco meno di sette decenni or sono vissero in prima persona la tragedia dell’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia o conobbero nella loro quotidianità il dramma di parenti, amici, conoscenti divorati dalle foibe che violentano nel profondo la roccia del Carso.
Eppure sembra che, a poco a poco, il nostro Paese si stia riappropriando di pagine di storia che, per troppo tempo, ha dovuto ignorare.
Chi dovette abbandonare da un giorno all’altro gli affetti di una vita nelle case lasciate in fretta, venne considerato spesso straniero quando raggiunse città e paesi di quello che era “solo” un altro luogo della “sua” Italia.

Su quelle vicende, per decenni, è calato un silenzio colmo di dolore fino a quando il velo di omertà è stato squarciato dalla profezia di chi ha cercato di leggere e far conoscere quegli avvenimenti alla luce di una memoria condivisa, intraprendendo cammini di riconciliazione e di pace fra coloro che la Storia aveva posto da parti opposte dei confini. Leggere gli avvenimenti di allora serve a ridare voce e dignità alle vittime di quei giorni:

raccontare le loro storie ha significato rendersi conto che quanto era capitato a loro sarebbe potuto capitare a ciascuno di noi.

Soprattutto nel momento in cui le violenze e le distruzioni della guerra hanno ricominciato a devastare terre da noi nemmeno troppo lontane, le immagini di quel dopoguerra, con l’esodo di proporzioni bibliche degli italiani dalle città dell’Adriatico in quella che era diventata la Jugoslavia di Tito, sono tornate nella mente vedendo i fiumi di uomini e di donne costretti a mettersi nuovamente in marcia, dopo essere stati scacciati dalle proprie case nel nome di una pulizia etnica che il trascorrere del tempo rende sempre uguale a se stessa. A tutte le latitudini.

E il dolore di chi da allora cerca notizie di qualche parente, strappato ai propri affetti e scomparso per sempre, è lo stesso di chi ha perso ogni contatto coi propri cari inghiottiti da viaggi che solo la retorica giornalistica continua a chiamare “della speranza”, ma che sarebbe più giusto cominciare a chiamare “della disperazione”.

Dalle terre che vissero l’esodo degli istriani e dei dalmati, viene un messaggio a questa Europa che all’inizio del terzo millennio così disperatamente cerca di essere “Unione” e non somma di tanti singoli: solo imparando dagli errori del passato sarà possibile costruire un futuro di pace, sconfiggendo chi della violenza fa il proprio credo quotidiano. È un impegno da assumere per onorare il ricordo di uomini e donne che furono vittime di quegli avvenimenti di 70 anni fa.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *