Foto di Salvatore Cernuzio, Zenit
Foto di Salvatore Cernuzio, Zenit

Zenit, di Salvatore Cernuzio

Barbe lunghe e sai marroni; mani giunte e teste rivolte verso il basso in attesa dell’inizio della Messa; un clima generale di preghiera, dato dalla presenza delle urne contenenti i corpi dei due santi confessori Pio e Leopoldo, davanti alle quali andavano accalcandosi sempre più fedeli.

Era un’atmosfera raccolta quella che permeava la Basilica vaticana durante la Messa che il Papa ha voluto celebrare con e per 4mila i frati minori cappuccini all’Altare della Cattedra. “Un gesto di affetto”, ha commentato il ministro generale Mauro Johri al termine della celebrazione. Affettuose sono state pure le parole del Pontefice durante l’omelia, tutta incentrata sul  tema del perdono.

“La tradizione vostra dei cappuccini è una tradizione di perdono”, ha esordito il Papa. E richiamando i Promessi Sposi di Manzoni, ha aggiunto: “Oggi ci sono tanti bravi confessori ed è perché si sentono peccatori come il nostro fra’ Cristoforo: sanno che sono grandi peccatori. Davanti alla grandezza di Dio chiedono: ascolta e perdona. Perché sanno pregare, così sanno perdonare”.

L’umile, ovvero “quello che si sente peccatore”, è infatti “un gran ‘perdonatore’ nel confessionale”. Gli altri sono invece come i dottori della legge del Vangelo odierno, per cui “tutto era preciso, lasciavano da parte la legge per fare le piccole tradizioni”. Loro “si sentono più puri, i maestri, soltanto sanno condannare”.

E’ ciò che accade “quando qualcuno si dimentica della necessità che ha di perdono, lentamente si dimentica di Dio; si dimentica di chiedere perdono e non sa perdonare”, ha sottolineato il Santo Padre. E ha messo in guardia dal pericolo che ciò possa riflettersi nell’approccio di chi amministra il sacramento della riconciliazione.

“Io – ha detto Francesco a braccio – vi parlo come fratello e in voi vorrei parlare a tutti i confessori in quest’anno della misericordia: il confessionale è per perdonare e se tu non puoi dare l’assoluzione per favore non bastonare”. La gente, infatti, “viene a cercare pace per la sua anima”, perciò è necessario “che trovi un padre che dia pace, e gli dica: Dio ti vuole bene…”.

“Mi spiace dirlo – ha aggiunto Francesco – ma quanta gente, credo che la maggioranza di noi abbiamo lo abbiamo sentito, dice: non vado mai a confessarmi perché una volta mi hanno fatto queste domande…”.

Tutti i confessori, e in particolare i cappuccini, non dimentichino mai pertanto “questa missione speciale di perdonare”, né mai si stanchino di farlo. Come quel frate cappuccino di Buenos Aires, amico di Bergoglio, che “ex uomo di governo” a 70 anni è stato inviato in un santuario a confessare.

“Quest’uomo – ha raccontato il Santo Padre – aveva una coda di gente: preti, fedeli, ricchi e poveri… ed era un gran ‘perdonatore’, sempre trovava il modo per perdonare o almeno di lasciare in pace quell’anima con un abbraccio”.

“Una volta lo trovai e mi disse: io credo di peccare perché perdono troppo. E mi viene questo scrupolo… sempre trovo come perdonare”. “E tu che cosa fai?”, gli chiese l’allora cardinale. “Io – rispose il frate – vado in cappella davanti al tabernacolo e dico: scusami Signore, oggi credo di aver perdonato troppo. Ma Signore, sei stato tu a darmi il ‘cattivo’ esempio!”.

Perdonare, allora, è la parola chiave. Si può farlo con le parole, ma anche con il linguaggio dei gesti. “Se una persona si avvicina a me al confessionale è perché sente qualcosa che gli pesa, che vuol togliersi, forse non sa come dirlo, ma il gesto è questo”, ha detto il Papa. “Vorrebbe cambiare, essere un’altra persona e lo dice col gesto di avvicinarsi. Non è necessario fare delle domande, ma tu… tu…Se una persona viene è perché nel suo animo vorrebbe non farlo più. Ma tante volte non possono, sono condizionati per la loro psicologia, la loro vita, la loro situazione. Ad impossibilia nemo tenetur (nessuno è tenuto a fare cose impossibili, ndr)”.

“Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace”, è dunque l’esortazione del Vescovo di Roma. Perché il perdono è come “un seme”, “una carezza di Dio”. “Abbiate fiducia nel perdono di Dio, non cadere nel pelagianismo – devi fare questo, questo e questo – Voi avete questo carisma di confessori, riprenderlo, rinnovarlo sempre e siate grandi ‘perdonatori’ perché chi non sa perdonare finisce con questi dottori della legge, è un gran ‘condannatore’. E chi è il grande accusatore nella Bibbia? Il diavolo…”.

Quindi un aut aut: “O fai l’ufficio di Gesù che perdona, o fai quello del diavolo che condanna e accusa”. Un’ultima parola Francesco la rivolge a tutti i sacerdoti che magari “non se la sentono” di confessare: “Siano umili, dicano no: io celebro la Messa, magari pulisco il pavimento ma non so far bene il confessore…”.

La celebrazione si è conclusa con il saluto di padre Johri che, ringraziando il Papa di aver esaudito il desiderio di celebrare una Messa con loro, ha espresso la sua gioia per lo storico incontro che Francesco avrà con il patriarca Kirill il prossimo 12 febbraio, a Cuba, al quale – ha detto – sicuramente ha contribuito anche il piccolo San Leopoldo Mandic.

Finita la funzione, tutti i frati si sono trasferiti in Aula Paolo VI per un’abbondante colazione offerta dal Santo Padre. E con il sorriso sulle labbra commentavano le parole appena ascoltate dal Pontefice tra cornetti, ciambelle, caffè e – naturalmente – cappuccini.

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