Zenit, di Luca Marcolivio

Come da tradizione la solenne messa conclusiva della Settimana per l’Unità dei Cristiani si è tenuta nella basilica di San Paolo, nel giorno della solennità dedicata alla conversione dell’Apostolo delle Genti.

È proprio dall’umiltà di San Paolo che dobbiamo ripartire per ritrovare il senso della nostra unità in Cristo. La clamorosa conversione “sulla via di Damasco” di colui che era stato un sanguinario persecutore di cristiani, non è un “cambiamento morale” ma “un’esperienza trasformante della grazia di Cristo”, ha spiegato papa Francesco durante l’omelia.

Saulo, l’ambizioso e spregiudicato leader ebreo, diventa “il più piccolo tra gli apostoli”, assume il nome di Paolo (in latino Paulum vuol dire “piccolo”) e, con docilità, accetta “la chiamata ad una nuova missione, quella di annunciare a tutti quel Gesù che prima perseguitava, perseguitando i suoi discepoli”. Egli si considera “infimo” e “indegno” e comprende che la sua vocazione non si fonda su “meriti umani” ma sulla “bontà infinita di Dio”.

Accanto alla testimonianza di Paolo, spicca quella di San Pietro che, rivolgendosi alle prime “piccole e fragili” comunità cristiane, minacciate da persecuzione (cfr 1Pt 2,9), ricorda loro di essere stati prescelti “per far parte del disegno di salvezza di Dio, attuato in Gesù Cristo e nella Chiesa”.

“La missione dell’intero popolo di Dio – ha proseguito il Pontefice – è di annunciare le opere meravigliose del Signore, prima fra tutte il Mistero pasquale di Cristo, per mezzo del quale siamo passati dalle tenebre del peccato e della morte allo splendore della sua vita, nuova ed eterna (cfr 1Pt 2,10)”.

L’unità dei cristiani, al di là delle differenze che ancora li separano, è una via percorribile se si riconosce “con gioia che all’origine della vita cristiana c’è sempre una chiamata il cui autore è Dio stesso”.

La “piena comunione” è possibile in primo luogo “nella misura in cui ci convertiamo al Signore, che per sua grazia ci sceglie e ci chiama ad essere suoi discepoli”.

C’è una missione che unisce tutti i cristiani ed è quella di “annunciare a tutti le opere meravigliose di Dio”, sviluppando da subito “molteplici forme di collaborazione per favorire la diffusione del Vangelo – ha sottolineato il Santo Padre -. E camminando e lavorando insieme, ci rendiamo conto che siamo già uniti nel nome del Signore”.

Non può nemmeno sussistere una “autentica ricerca dell’unità dei cristiani senza un pieno affidarsi alla misericordia del Padre”, ha aggiunto il Papa, che ha quindi invocato “perdono per il peccato delle nostre divisioni, che sono una ferita aperta nel Corpo di Cristo”.

Da qui una doppia esortazione rivolta ad entrambe le parti: come “Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa Cattolica”, Francesco ha invocato “misericordia e perdono per i comportamenti non evangelici tenuti da parte di cattolici nei confronti di cristiani di altre Chiese”; allo stesso tempo, il Pontefice ha invitato “tutti i fratelli e le sorelle cattolici a perdonare se, oggi o in passato, hanno subito offese da altri cristiani”.

Se da un lato, non è possibile “cancellare ciò che è stato”, dall’altro non bisogna “permettere che il peso delle colpe passate continui ad inquinare i nostri rapporti”, ha detto Bergoglio, auspicando che “la misericordia di Dio rinnoverà le nostre relazioni”.

Ai rappresentanti ecumenici ortodossi e anglicani intervenuti, il Santo Padre ha spiegato che il passaggio della Porta Santa da loro effettuato ci ricorda che “l’unica porta che ci conduce alla salvezza è Gesù Cristo nostro Signore, il volto misericordioso del Padre”.

In conclusione, il Papa ha sottolineato ai presenti che la “nostra umile richiesta” di unità è “sostenuta dall’intercessione della moltitudine dei martiri cristiani di ieri e di oggi”, i quali hanno “risposto con generosità alla chiamata del Signore, hanno dato fedele testimonianza, con la loro vita, delle opere meravigliose che Dio ha compiuto per noi, e sperimentano già la piena comunione alla presenza di Dio Padre”.

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