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“Credo che dobbiamo essere realisti in questi tempi difficili, riconoscendo con sincerità e umiltà che siamo tutti impauriti, chi più chi meno, da quello che è successo e purtroppo può riaccadere. In tal senso, è necessario che i responsabili del bene comune prendano tutte le misure di sicurezza atte a prevenire e a evitare gli attentati. Sono certo che l’Italia lo sta facendo, come parte di quella disponibile e generosa accoglienza di quanti si recano pellegrini a Roma che l’ha sempre contraddistinta”.
È uno dei passaggi della lunga intervista che il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin,  ha rilasciato ad Antonio Pelayo, Darío Menor e al direttore José Beltrán per il settimanale spagnolo Vida Nueva che domandavano come si deve reagire alla paura di fronte a possibili attentati durante l’Anno Santo. “Non dobbiamo lasciarci paralizzare dalla paura. È proprio quello che vogliono i terroristi”, ha detto il cardinale, esortando a “reagire con coraggio e forza contro questo sentimento, e farlo tutti insieme”.
Alla domanda sul contributo della Chiesa cattolica per affrontare il terrorismo islamista, il segretario di Stato afferma che “di fronte all’uso della religione per giustificare la violenza, sono in primo luogo i leader musulmani a dovere condannare senza ambiguità tutti gli atti di terrorismo commessi in nome dell’islam. Spetta inoltre a loro insegnare chiaramente la totale incompatibilità tra violenza e religione, sviluppando una nuova forma di ermeneutica in cui non ci sia posto per un’interpretazione estremista che giustifichi il terrorismo”.
“Bisogna però riconoscere – aggiunge Parolin – che ci sono leader islamici nel mondo che hanno denunciato e condannato il terrorismo e che, in occasione degli attentati di Parigi di gennaio e novembre dello scorso anno, ci sono stati musulmani che hanno compiuto gesti coraggiosi per salvare vite umane. Non dimentichiamo che la maggior parte delle vittime dell’estremismo islamico sono esse stesse musulmane”. Da parte sua, la Chiesa cattolica – spiega il cardinale – “deve continuare a impegnarsi nel dialogo interreligioso, perché oggi più che mai c’è bisogno d’incontrarsi e di parlarsi. Allo stesso tempo, può fare di più per capire il fenomeno dell’estremismo, come e perché ci sono giovani che si lasciano attrarre da queste ideologie. Esistono, ovviamente, cause economiche, sociali e politiche, ma anche cause spirituali. In tal senso, spetta alla Chiesa raddoppiare i suoi sforzi per colmare i vuoti generati dal nichilismo spirituale, soprattutto nel nostro mondo occidentale, evitando così che siano riempiti dall’odio e dalla violenza”.
Rifelttendo poi sulla opportunità di un’operazione internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite per porre fine allo Stato islamico, il cardinale – tenendo conto che il cosiddetto Stato islamico riguarda territori di alcuni Stati e minaccia la pace e la stabilità mondiale – sottolinea che “l’unico modo possibile di combatterlo è nel quadro del diritto internazionale. Pertanto, l’organismo competente per decidere un intervento della comunità internazionale è il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il cui primo mandato è proprio il mantenimento della pace e della sicurezza nel mondo”.
Nel lungo colloquio si affronta poi la tematica dei migranti forzati, “anche di quelli che non vengono riconosciuti come rifugiati; per esempio, quelli che sono stati costretti a emigrare dalla povertà e dal degrado ambientale, o le vittime del traffico di esseri umani, o gli emigranti che cercano condizioni di vita migliori per sé e per le loro famiglie”. Parolin ricorda il primo viaggio di Francesco fuori dal Vaticano a Lampedusa, “di fronte a quella striscia del Mediterraneo dove si stavano perdendo centinaia di vite umane. Lì ha interpellato il mondo parlando della globalizzazione dell’indifferenza che impedisce di guardare agli emigranti come a fratelli e sorelle”.
“Le istituzioni devono svolgere il proprio ruolo – rimarca il cardinale, ricordando le parole del Pontefice in quella occasione – ma tutti abbiamo una responsabilità sociale e dobbiamo domandarci se il nostro atteggiamento è di accoglienza o di esclusione. Il Papa ha parlato della grave emergenza migratoria in moltissime altre occasioni con vescovi, leader di altre religioni, capi di Stato e di Governo, parlamentari, responsabili di organizzazioni internazionali, e così via. La sua è una parola energica che interpella, e posso assicurare che non ha smesso di scuotere le coscienze, suscitando un’attenzione più seria e alcuni passi concreti”. Da parte sua, la Chiesa cattolica cerca quindi “di rispondere all’appello del Papa del 6 settembre scorso ad aiutare, insieme a molte istituzioni e persone di buona volontà, a offrire accoglienza, sostenere le famiglie, creare vincoli di conoscenza reciproca e di rispetto e favorire le condizioni che permettano il ritorno di queste persone al proprio Paese, in libertà e sicurezza”.
Secondo il cardinale Parolin, “l’Europa possiede gli strumenti giuridici, tecnici e soprattutto culturali per affrontare la questione migratoria in un modo rispettoso della dignità e dei diritti sia dei suoi cittadini sia degli emigranti. Vorrei sottolineare la dimensione culturale, accanto agli aspetti logistici e della sicurezza. Solo su questa base si può sperare che le politiche migratorie producano buoni risultati per gli emigranti — evitando di percepirli genericamente come minacce contro le quali occorre difendersi, e favorendo, al contrario, la loro integrazione, il che comporta diritti ma anche obblighi — e per le popolazioni che gli accolgono, le quali esigono il rispetto dei loro valori e dei principi della vita sociale, per il bene di tutti”.

Nell’intervista anche un cenno al Giubileo straordinario della Misericordia, che il porporato veneto definisce “un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale”, “un tempo propizio di cambiamento, che noi cristiani chiamiamo ‘conversione’, innanzitutto nel senso di tornare al centro della vita cristiana, di ritornare a ciò che è importante, di concentrarsi sull’essenziale, che è la misericordia”.

Poi una rifelssione sugli scandali nella gestione economico-finanziaria della Santa Sede, che secondo il ‘premier’ vaticano, “risulta meno problematica di come a volte la si vuole presentare al pubblico”. “Occorre tener presente che tale gestione implica un certo grado di complessità – spiega – essendo destinata a sostenere il ministero del Papa come pastore della Chiesa universale e la missione della Chiesa stessa, per esempio aiutando la diffusione del Vangelo e le opere caritative in diverse aree del mondo. In tale quadro, non si può escludere, come accade in tutte le realtà del mondo, la possibilità che si verifichino errori e inefficienze e che siano opportuni, anzi necessari, la sua riforma e il suo miglioramento verso una maggiore efficacia e trasparenza. È il cammino che si sta attualmente percorrendo, con grande impegno e determinazione. L’attenzione e il clamore suscitati da alcuni episodi esprimono comunque le giuste aspettative dell’opinione pubblica verso gli ecclesiastici, dai quali, giustamente e più che dagli altri, ci si aspetta uno stile di vita sobrio, in linea con la povertà evangelica, e anche un comportamento moralmente irreprensibile”.
In tema di riforma della Curia, Parolin inquadra infine il ruolo della Segreteria di Stato di “coordinamento all’interno della Curia romana”, come stabilito dalla Pastor Bonus. “È importante – evidenzia – comprendere che tale ruolo non è arbitrario, ma che piuttosto deriva direttamente dalla sua funzione di Segreteria del Papa. Penso quindi che la Segreteria di Stato dovrebbe continuare a esercitare tale ruolo, ovviamente purificato da tutti quegli elementi o difetti che in un passato recente hanno suscitato tante critiche e che nei lavori del Consiglio di cardinali si stanno esaminando con la dovuta considerazione”.
“Si potrebbe obiettare che la Curia ha funzionato per secoli senza questo ruolo di coordinamento svolto dalla Segreteria di Stato”, conclude il cardinale, sottolineando tuttavia la volontà di Papa Francesco di “porre maggiore enfasi sulla prassi della collegialità e della sinodalità” in modo da “evitare che la Segreteria di Stato assuma un ruolo eccessivo e, allo stesso tempo, per far sì che tutta la Curia possa sviluppare meglio, secondo uno spirito di servizio, la sua funzione rispetto alle Chiese particolari”. “La creazione di un Consiglio di cardinali e la valorizzazione del Sinodo dei vescovi sono passi decisivi in questa decisione”.

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